28 maggio 2008

La Valle d'Aosta incontra la Locride. Vincenzo Linarello ad Aosta.

Realizzare iniziative imprenditoriali per definizione "impossibili"
Parte seconda

La 'ndrangheta cerca di bluffare e tenta di alimentare il sentimento di inevitabilità dei fatti, dice Vincenzo.
Più "un certo tipo di informazione" la dipinge (la 'ndrangheta, n.d.r.) come "invincibile, onnipotente, incredibilmente forte" e più aumenta il senso di ineluttabilità nella testa e nel cuore delle persone.
C'è "un linguaggio dei segni" incalza Vincenzo.
La 'ndrangheta vuole convincere tutti, non solo i Calabresi, che è qualcosa di invincibile, che non si può cambiare, che non c'è nessuna possibilità …
Se si perde la possibilità del cambiamento non resta che trincerarsi dentro alla propria vita quotidiana dentro al proprio privato e non si tenta nessuna istanza di cambiamento.
In periodi storici delicati i telegiornali, i media aumentano le notizie di cronaca a dismisura perché il messaggio che deve passare è che "il mondo è uno schifo e che è meglio fare non due ma dieci mandate di chiave nel portoncino del tuo appartamento, trincerarsi lì dietro, difendere la tua piccola casa il tuo piccolo appartamento, perché se già riesci a difendere quello spazio è già tanto … figuriamoci andare a cambiare il mondo."
Come infrangere il muro del destino è stato il primo ostacolo che Vincenzo e i suoi amici hanno incontrato. Non a caso, e non è un caso, che Vincenzo abbia ricordato la mission delle cooperative sociali ovvero la scelta di stare nell'emarginazione sociale: "di prestare la nostra voce, le nostre braccia, a chi la possibilità di farsi sentire non ce l'ha."
"Per rompere il muro del destino abbiamo capito che dovevamo - consentitemi questa espressione, che parte dalla mia fede, PARTIRE DALLE PIETRE SCARTATE e farle diventare TESTATA D'ANGOLO."
E per far questo Vincenzo e le altre e gli altri hanno realizzato alcune iniziative imprenditoriali "per definizione impossibili".
La prima attività è partita con un gruppo di donne, in un paesino interno della Locride, Agnana Calabra, "che, come tutti i paesini interni, non brilla certo per apertura sul lavoro femminile - che sostanzialmente sfidando anche i mariti, la derisione nel paese, che non credeva - si mette in testa di fare una cooperativa di confezioni tessili.
La fa.
In una chiesa".
In una chiesa data dalla pastorale del lavoro come laboratorio di produzione. E questa realtà di sole donne, in un paesino interno, "non solo ce la fa, smentendo tutto il paese che rimane a bocca aperta, ma addirittura arriva al paradosso, dopo un po' di tempo, di cominciare a dare lavoro a qualche uomo disoccupato del paese".

con tutta la forza che posso
dedicato a tutti quelli che stanno lottando

A tutti quelli,
con le parole di Vincenzo,
che "ANCORA TROVANO LA FORZA DI SOGNARE.
che malgrado tutto trovano la forza di sognare.
o che addirittura, proprio per tutto il resto, trovano la forza di sognare."

Silvia Berruto

24 maggio 2008

“A Jihad for Love”. La lotta per amare: un film di quelli “ che cambiano la vita”

“A Jihad for Love” è la storia di sei storie d’amore, di violenza e di oppressione. Sei storie di amori omeorotici di donne e uomini omosessuali musulmani.
È il regista indiano, Parvez Sharma, a presentare il film all’Ambrosio Due di Torino.
La parola “jihad” o “guerra santa” assume spesso, nell’immaginario collettivo, una connotazione negativa. Traducibile non solo nell’accezione riduttiva di “guerra” essa ha un ruolo centrale nell’Islam poiché si riferisce allo sforzo individuale di “lottare nel sentiero di Dio” e di servire la società islamica attraverso le proprie azioni e la condotta individuale. “Questo film intende raccontare la jihad ripudiando il concetto di guerra” ritornando al significato della parola legato alla lotta e allo struggimento interiore.
Il documentario, girato in nove lingue e in dodici paesi, tra cui in India, Pakistan, Iran, Turchia, Egitto, Sud Africa fino ad arrivare in Francia, ritrae la vita di alcuni gay e lesbiche musulmani praticanti Vi si narrano racconti d’amore e processi verso l’accettazione di sé, attraverso il superamento di conflitti interni, familiari e sociali – ripresi per circa cinque anni e mezzo in clandestinità – perché gli omosessuali nel mondo islamico sono perseguitati e clandestini e il rischio quotidiano non è solo l’emarginazione ma la pena di morte.
Una lettura intellettualmente onesta, trasversale e provocatoria, è d’obbligo: un mullah, intervistato nel film osserva che tutte le religioni monoteistiche aborriscono l’omosessualità. Così emerge in tutta la sua reale tragicità il rapporto, relativamente insuperabile e insanabile, fra sessualità e religione che, se nel privato attiene alla cultura e al credo del singolo, nella dimensione sociale e collettiva deve fare i conti con le istituzioni della fede. I musulmani, dice Sharma, ritengono che l’omosessualità sia vietata dal Libro Sacro e a Maometto se ne attribuisce la condanna mentre il lesbismo, a quanto riferito, sembrerebbe non essere neppure preso in considerazione nel Corano. Nella maggior parte degli stati musulmani la legge proibisce l’omosessualità e prevede la carcerazione, la tortura e la condanna a morte degli omosessuali. Essa proibisce il lesbismo così come il rapporto sessuale tra due donne con penetrazione ma se non c’è penetrazione non è prevista una pena severa.
In prima italiana al Torino GLBT Film Festival – in concorso nella sezione documentari – il film è stato proiettato domenica 20 aprile 2008 al 23° Da Sodoma a Hollywood. I film che cambiano la vita” del Torino GLBT Film Festival ed è stato premiato dalla giuria, composta da Lilian Faderman, scrittrice e storica americana, Jamie Babbit regista statunitense, e il portoghese Joao Ferreira, direttore del Queer Lisboa – Lisbon Lesbian & Gay Film Festival, che ha ritenuto il film quello che più ha risposto alla filosofia del festival “i film che cambiano la vita” per la sua importanza sia nel mondo islamico sia in quello occidentale, per l’ambizione e l’ampio sguardo sulla topografia geografica e umana. E ancora per una regia coraggiosa, ipnotizzante e convincente”.
Il film, in tournée in Spagna, a Copenagen e Istanbul, è un’opera prima e anche primo documentario su questo argomento. Il lavoro, articolato, scritto e diretto da Parvez Sharma, anche produttore e regista radiofonico che ha trattato spesso temi legati ai diritti umani, è stato prodotto da Sandi Dubowski e Parvez Sharma e cofinanziato da Logo-NY, ZDF/Arte Channel4, SBS, Katahdin, Sundance Documentary Fund.
Era stato presentato, in prima mondiale, a Toronto nel 2007, official selection a Berlino 2008, Best documentary Mix Brasil, Best documentary Image Nation Montreal, Best documentary Turin GLBT Film Festival, Best tricontinental Film festival India: in totale in quattordici paesi.
La maggioranza dei gay e delle lesbiche musulmani non vuole ripudiare la propria religione ma intende far convivere omosessualità e credo.
Sharma ha detto “È una posizione difficile la mia: io sono un gay musulmano quindi il mio compito è quello di difendere l’Islam ma allo stesso tempo di criticarlo”.
Imperdibile.
Dedicato a quel po’ di razzismo che c’è in ognuno di noi, nell’accezione di Tahar Ben Jelloun, quando afferma: “Il razzista è colui che crede che tutto ciò che è troppo differente da lui stesso lo minaccia nella sua tranquillità”.
In questi tempi di ordinato disordine …
Silvia Berruto

15 maggio 2008

La Valle d'Aosta incontra la Locride. Vincenzo Linarello ad Aosta

sei maggio duemilaotto

Per la newsletter e per il sito del Centro Studi Sereno Regis
Anteprima della pubblicazione integrale del report su Vincenzo ad Aosta
Dal blog www.liberostile.blogspot.com

Abbiamo voluto con forza che Vincenzo Linarello, presidente del consorzio Goel di Locri e portavoce di Comunità Libere, venisse ad Aosta.
Abbiamo organizzato un incontro che ambiziosamente abbiamo intitolato "la Valle d'Aosta incontra la Locride" presso l'Espace Populaire che vuol essere, al di là del semplice slogan, un laboratorio di pace per mondi diversi migliori dell'esistente.
Noi.
Ovvero il consorzio Trait d'Union con l'associazione Saperi e Sapori, la cooperativa Rosso Piccante e l'Arci Valle d'Aosta e tutti gli amici e i persuasi della nonviolenza che hanno organizzato "in cooperazione" l'incontro.
Nel corso della serata abbiamo cercato di investigare se e come si può fare sistema contro il sistema.
Abbiamo provato a comprendere, insieme a Vincenzo, quali sono le ragioni e le strategie per il cambiamento dal basso in un territorio come la Locride, ma anche il paese Italia, non completamente libero.
Abbiamo tentato di comprendere se e come ci si emancipa dal giogo della 'ndrangheta e delle massonerie deviate; come si conquistano alcuni diritti e alcune libertà che per altri cittadini, sempre italiani, è welfare; come si difendono, una volta ottenuti, questi diritti e queste libertà.
Con grande onore ho accolto all'Espace Populaire a nome di una parte della comunità valdostana Vincenzo il quale, dopo aver ringraziato per l'invito, con simpatica ironia, ci ha riconosciuto la prerogativa di avergli riservato "un'accoglienza degna di un popolo calabrese"…
"A parte la battuta mi sento veramente a casa mia perché … un po' mi hanno spiegato alcune persone, alcune le ho conosciute ed è tutta gente - come diceva Massimo (Giugler del Consorzio Trait d'Union che aveva presentato poco prima Vincenzo e ne aveva introdotto l'intervento, ndr) - che viene dai nostri mondi: che viene dalla cooperazione sociale, che viene da un associazionismo impegnato.
QUALCUNO CHE ANCORA TROVA LA FORZA DI SOGNARE.
Che malgrado tutto trova la forza di sognare.
O che addirittura, proprio per tutto il resto, trova la forza di sognare.
E credo che la caratteristica, oggi, più importante del nostro percorso in Calabria, sia stata questa.
Il primo grande problema con Monsignor Bregantini che noi abbiamo avuto di fronte, nel nostro percorso, quando dodici-tredici anni fa abbiamo iniziato questa splendida avventura, è stato proprio l'antisogno: quella che noi chiamavamo la "bruttura del destino".
Quell'idea insita nel cuore, nella testa, nella cultura di molti miei conterranei che la situazione è questa e non può cambiare: che è stato così, che è così, che sarà sempre così. E che qualunque cosa faranno non cambierà mai nulla.
Guardate che questo è l'alleato migliore, non solo della 'ndrangheta, ma della malapolitica, delle massonerie deviate, dei sistemi di potere occulto, per una semplicissima ragione. Quando cadi in quella trappola - dell'ineluttabilità, del fatalismo - non c'è bisogno di reprimere le istanze di cambiamento perché le istanze di cambiamento manco partono, le istanze di cambiamento manco vengono concepite in testa: non c'è bisogno più di reprimere."

con tutta la forza che posso
dedicato a tutti quelli che stanno lottando

Silvia Berruto