05 dicembre 2007

"Per Gramsci. Crisi e potenza del moderno". Secondo il Professore Alberto Burgio

"Viviamo una grave crisi democratica". Questo l'incipit del primo capitolo di "Per Gramsci. Crisi e potenza del moderno", ultimo lavoro del Professore Alberto Burgio, edito dai tipi di Derive Approdi. Questo il punto di partenza dell'analisi dell'autore secondo il quale lo stato di crisi non è una condizione eccezionale della democrazia, ma una condizione normale.
Nel primo capitolo "Gramsci per noi. 1937-2007", particolarmente significativo, l'autore utilizza il lessico e le categorie di Gramsci per cercare di comprendere quello che sta accadendo attualmente, nel mondo e in Italia. Si tratta di vedere come interpretare la globalizzazione neo-liberista a partire da una riflessione di lungo periodo che tiene insieme tutto il Novecento.
La prospettiva e la modalità di ricognizione su Gramsci sono riassumibili in due grandi filoni: una posizione, definita "liquidatoria" prevalente negli ultimi vent'anni, a parere del professore, che si fa forte di un'assenza di memoria e di uno sradicamento e un'altra posizione, apparentemente più attenta, equivalente, ma più insidiosa, di chi prende quella storia e cerca di smontarla, non criticamente per comprendere e per approfondire, per innovare o per sviluppare approcci critici, letture, esperienze di ricerca, ma per rileggerla in modo strumentale per giungere a conclusioni, arbitrarie e discutibili, la cui metodologia euristica si definisce, tecnicamente, revisionismo storico.
"Ho pensato - afferma Burgio - che forse potesse essere utile e, in qualche misura dovuto, scrivere qualcosa. Senza una forzatura di segno contrario, ma semplicemente in modo intellettualmente onesto: naturalmente questo non significa che io garantisco l'assoluta oggettività di quello che scrivo o l'assoluta verità delle mie interpretazioni. Dal punto di vista dei propositi ho cercato di scrivere un libro che è un po' lo sviluppo del precedente e che ha uno sguardo un po' più sull'attualità." Burgio dice di essersi domandato se quel giacimento di riflessioni, di ricerche, di elaborazioni teoriche e persino di concetti che si trova nelle oltre duemila pagine, complicatissime da leggere e solo in apparenza frammentarie, dei "Quaderni del carcere", potesse servirci. Si tratta di materiali magmatici, dei quali si può dire che Gramsci prenda appunti per se stesso, almeno fino ad un certo punto cronologico della sua prigionia. Burgio si è domandato se il lascito teorico, intellettuale e politico di Gramsci ci possa servire per capire quello che noi stiamo vivendo in questa fase difficilissima nella quale ci troviamo perché, come sostiene il professore, "siamo ancora evidentemente nell'onda lunga di una sconfitta". La risposta è positiva. L'autore ritiene che quel giacimento ci può servire almeno per due ragioni che ruotano intorno a due concetti di Gramsci molto fecondi e importanti: il concetto di egemonia e il concetto, meno di senso comune, di rivoluzione passiva. Dalla fine degli anni Settanta ad oggi, quello che è successo in Italia, e più in generale in occidente, pare al professore qualcosa che si può intendere, alla luce del concetto gramsciano, di rivoluzione passiva. Per Gramsci la rivoluzione passiva è un processo di trasformazione che è a tutti gli effetti uno sviluppo, un mutamento. Non è una condizione di staticità ma di trasformazione, dove le trasformazioni sono governate da chi già dispone del potere, da chi già è classe dirigente, da chi già dispone del potere politico e del dominio sulla società. Queste trasformazioni non cambiano in profondità la società ma la ammodernano e la rendono più funzionale al consolidamento del potere delle classi dirigenti che già dispongono del potere.
Il libro è stato presentato ad Aosta, all'Espace Populaire, il 24 novembre scorso, dal Professor Burgio, insegnante di Storia della filosofia all'Università di Bologna, preceduto da un' introduzione di Piero Valleise e di Pierluigi Vuillermin.


Silvia Berruto