11 agosto 2010
22 luglio 2010
HABIB (SABRI)
Sabri giù dal tetto
E alla fine, dopo tre giorni di ostinata resistenza sul tetto ...
www.autistici.org/macerie/?p=27860
E alla fine, dopo tre giorni di ostinata resistenza sul tetto ...
www.autistici.org/macerie/?p=27860
HABIB (SABRI)
oggi alle 15:17
postando il report su CHIUDERE I CIE SUBITO. 10 LUGLIO ANTIRAZZISTA A TORINO_II parte
dicevo di non essere più aggiornata (oggi non ho saputo nulla) sull'evolversi della resistenza al CIE di corso Brunelleschi.
ora dalla lettura del Notiziario quotidiano dal carcere di RISTRETTI ORIZZONTI apprendo che la resistenza di Habib-Sabri, secondo il quotidiano La Stampa di oggi, 22 luglio 2010, è finita.
http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1889:immigrazione-torino-detenuto-tunisino-scende-dal-tetto-del-cie-dopo-60-ore-di-protesta&catid=16:notizie-2010&Itemid=1
postando il report su CHIUDERE I CIE SUBITO. 10 LUGLIO ANTIRAZZISTA A TORINO_II parte
dicevo di non essere più aggiornata (oggi non ho saputo nulla) sull'evolversi della resistenza al CIE di corso Brunelleschi.
ora dalla lettura del Notiziario quotidiano dal carcere di RISTRETTI ORIZZONTI apprendo che la resistenza di Habib-Sabri, secondo il quotidiano La Stampa di oggi, 22 luglio 2010, è finita.
http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1889:immigrazione-torino-detenuto-tunisino-scende-dal-tetto-del-cie-dopo-60-ore-di-protesta&catid=16:notizie-2010&Itemid=1
CHIUDERE I CIE SUBITO 10 LUGLIO ANTIRAZZISTA A TORINO
Torino 10 luglio 2010
Il corteo avanza...
Parte II
... ma mentre stavo scrivendo la prima parte di questo testo ho appreso di una rivolta in corso al CIE di corso Brunelleschi.
non conosco gli sviluppi.
Report. Parte II. Manif. del 10 luglio antirazzista.
Il corteo avanza, sotto un sole giaguaro.
Effettua alcune brevi tappe davanti al mercato e agli incroci affollati delle strade che si trovano lungo il percorso della marcia: per informare il quartiere, per spiegare ai cittadini le ragioni della manif, per raccontare le storie di chi è dentro a(i)l CIE.
Il corteo si conclude davanti al viale alberato, antistante al CIE, dove la gente si assiepa e continua la manifestazione.
La voce di una giovane donna rivolge, dal microfono aperto e libero, "un saluto a tutti i richiusi dentro al CIE. CIAOOOO!"
Un CIAO-ovation con applausi, collettivi e dal basso, si leva.
Per chi è dentro!
Il primo intervento è la testimonianza di un attivista ed è relativa al CIE di Gradisca d'Isonzo (TS).
Dopo aver rivolto "un saluto a tutti e a tutte, soprattutto a quelli e a quelle che sono dentro a questi centri di internamento, a questi centri assurdi che noi vogliamo chiudere" l'attivista inizia il suo racconto.
"Gradisca è stato il primo CIE pensato, costruito e realizzato proprio per essere un CIE."
Il primo ad essere stato concepito per essere un CIE.
"Per impedire le rivolte e le fughe di chi ci sta dentro.
Noi lo definiamo un NON LUOGO. Perché è un posto in cui tutti i letti sono incassati a terra, le sedie sono incassate a terra. Tutto è di cemento."
Il muro, racconta il testimone, è ancora più impressionante di quello perimetrale del CIE di corso Brunelleschi. Sulla statale. Il CIE di Gradisca è fuori dal centro abitato. E' di cemento armato.
L'attivista racconta di due anni di lotta condotti attraverso manifestazioni, presidi, azioni dirette, azioni legali, "per impedire l'apertura di questo CIE". Per un anno e mezzo il movimento è riuscito a non far aprire il centro. "Un risultato sicuramente piccolo ma comunque significativo perché per un anno e mezzo nessuno è stato rinchiuso. Quando l'hanno aperto ci siamo opposti fisicamente facendoci caricare dalla polizia comandata direttamente dal ministero degli interni."
Vi sono stati tentativi di fuga e fughe riuscite. Ricorrenti sono (state) anche le rivolte, i fenomeni di autolesionismo e gli atti di distruzione degli "arredi" interni di entità tale da dover denunciare la mancanza di fondi per una ristrutturazione del CIE.
"La situazione è difficile. E' impossibile comunicare con chi è dentro. In tutta la regione, per i comitati antirazzisti di Trieste, Udine, Pordenone e Monfalcone il CIE di Gradisca è sempre al centro dell'attenzione che è tenuta, sempre, molto alta, e che come tutti i CIE deve essere chiusa prima e subito!"
Antonio, attivista milanese del comitato antirazzista, riflette e testimonia sul CIE di Milano.
"Chiudere prima e subito queste strutture criminali che solo una mente perversa poteva concepire ..." Dopo un excursus cronologico sull'idea e sull'attuazione dei centri, CPT e CIE, l'attivista segnala che, quest'anno, al Cie di Via Corelli, c'è stato il più lungo sciopero della fame della storia dei CIE italiani. Racconta di uomini e donne che per mesi hanno fatto lo sciopero della fame e il comitato antirazzista ha portato da mangiare e da bere a chi faceva lo sciopero a staffetta: "Sì perché, oltre a tutto, all'interno di questi centri di detenzione il cibo sembra che sia letteralmente schifoso.
Le cooperative. Le cooperative si prestano, e magari anche cooperative rosse, a dar da mangiare, mettendoci dentro il bromuro, mettendoci dentro delle robe schifose per farli dormire. Questo succede continuamente nei CIE. Le rivolte che ci sono state e che ci saranno avranno sempre nei comitati antirazzisti e nelle persone decenti in questo paese un mettersi di fronte, un mettersi contro.
Perché oggi l'unica soluzione contro questa barbarie è mettersi contro!
Un'attivista segnala il prossimo campeggio NO BORDER CAMP IN BRUSSELS, dal 25.09 al 3.10 a Bruxelles, organizzato dalla rete europea di attivisti contro la politica migratoria europea e i CIE (www.noborderbxl.eu.org).
Nel frattempo una pallina da tennis, lanciata "da dentro" reca la richiesta di fare gruppo di pressione sul consolato del Marocco. Dalla rete dei CIE è arrivata la richiesta di una più ampia mobilitazione e pressione su tutti i consolati.
Karim Metref prende la parola e parla a nome del gruppo degli immigrati autoorganizzati che ha partecipato e organizzato il corteo e la manif.
Karim, dopo aver sollecitato a preparare meglio in futuro le manif., segnala che nella campagna di promozione dell'ultima settimana, effettuata a cura del gruppo e realizzata attraverso volantinaggio a Porta Palazzo e nei luoghi frequentati dagli immigrati, "abbiamo passato più tempo a spiegare che cosa è il CIE che a dire di partecipare.
La gente non sa che cosa è il CIE. Perché c'è molta disinformazione."
E' idea diffusa che chi si trova nel CIE abbia commesso qualcosa, che si tratti di spacciatori o di ladri mentre chi se ne sta tranquillo non viene messo in carcere.
Penso che Karim sia molto duro e molto critico nel suo discorso che è intellettualmente onesto come i contributi che ho potuto ascoltare questa sera.
"C'è un grande lavoro da fare per non essere - un pugno di persone - come siamo oggi e per togliere le persone da chi disinforma. Dalle associazioni dell'intercultura, del cous cous, delle feste e delle cene multietniche: perché sono coloro che si danno certificati da antirazzisti e da interculturali che hanno creato i CIE. Sono loro che oggi vanno in giro e parlano A NOME DELL'ANTIRAZZISMO.
Ebbene bisogna dire oggi che NON E' ANTIRAZZISTA CHI HA COSTRUITO I CIE.
NON E' ANTIRAZZISTA CHI LI HA PROGETTATI - anzi E' RAZZISTA CHI LI HA COSTRUITI.
E' RAZZISTA CHI LI HA PROGETTATI.
E' RAZZISTA CHI LI STA GESTENDO. E CHE NE VIVE.
Non possiamo disturbare (i razzisti,nda) nei salotti televisivi ma almeno nelle conferenze, nei convegni e negli incontri in città non dobbiamo più lasciargli lo spazio per presentarsi e per PARLARE A NOME DEGLI IMMIGRATI o A NOME DELL'ANTIRAZZISMO.
E' la legge Turco-Napolitano che fa sì che in queste e nelle prossime settimane migliaia di persone ricadranno di nuovo nella clandestinità e rischieranno di trovarsi in carcere.
Perché non CE L'HANNO MAI FATTA A FARE LA famosa CARTA DI SOGGIORNO.
Perché NON HANNO MAI AVUTO UN LAVORO a LUNGA DURATA.
NON HANNO MAI AVUTO UN CONTRATTO DECENTE così come non ce l'hanno migliaia e migliaia di giovani italiani."
Queste persone, in Italia magari anche da quindici anni e che hanno sempre pagato le tasse, rischiano di RICADERE nella clandestinità.
Rischiano di ritrovarsi in un CIE e "NON LO SANNO NEMMENO. Perché stanno ad ascoltare in TV la Livia Turco che viene a dire che il razzismo è una brutta cosa, ma senza mai dire QUALCOSA DI CONCRETO.
Senza MAI DIRE COSA E' L'ANTIRAZZISMO.
L'ANTIRAZZISMO è innanzitutto. NON DEVE ESISTERE IL REATO DI POVERTA'.
L'antirazzismo è. Se gli occidentali e quelli dei paesi ricchi possono andare a fare turismo in Senegal o in un altro posto, anche turismo sessuale a danno dei bambini, perché un Senegalese non può venire in Italia?
Perché I POVERI NON SI POSSONO SPOSTARE?
Se bisogna parlare dei FLUSSI MIGRATORI, parliamone. Ma a partire dalle cause.
Dal PERCHE' una ragazza nigeriana viene in Italia. Da zone che potrebbero essere le più ricche del mondo ma che oggi sono completamente morte. Dei popoli che vivevano intorno al delta del Niger e che oggi si ritrovano a Benin City: nelle baraccopoli. Sono quelle le ragazze che cercano di entrare o entrano in Italia per svendersi sulle strade d'Italia.
Si fanno i CIE perché sono una macchina per raccogliere i voti.
Si fa la REPRESSIONE DEI POVERI per raccogliere i voti.
Ma si cerca anche IL CERTIFICATO DI ANTIRAZZISMO!
Noi, come collettivo di immigrati autoorganizzati a Torino siamo pochi. Però tra di noi CI SIAMO MESSI D'ACCORDO: non li lasceremo mai più parlare in pubblico di antirazzismo senza andare a disturbarli e senza andare a buttare le loro verità in faccia!"
Poi è la volta del contributo di Marco Rovelli al cui libro già citato, "Lager Italiani" rimando.
"Siamo qui davanti a queste mura, per manifestare, ancora una volta, la nostra opposizione radicale a questi luoghi di esclusione e di reclusione che sono i centri.
Fare questo significa manifestare un' opposizione radicale a tutto un sistema di politica che lega l'immigrazione ad un fatto di inferiorizzazione, di minorizzazione, di clandestinizzazione e di servilizzazione.
E' evidente un CPT è un luogo inumano."
L'inumanità dei CIE non sta solo nelle violenze fisiche, giuridiche, e nella negazione dei più elementari diritti umani che quotidianamente sono violati in questo luogo, sostiene Rovelli, ma sta nella sua natura: nella sua natura di campo. Prima CPT ora CIE.
E' un campo.
Per dire campo in tedesco c'è una parola che è "Lager".
Il concetto e la pratica dei CIE sono le stesse dei Lager del Novecento dice Rovelli. "Un luogo di sospensione del diritto, un luogo dove il diritto si autosospende nella sua universalità."
Già questo è uno dei passaggi agghiacciante. E non solo dal punto di vista speculativo.
"Il diritto universale, il diritto ordinario non vale più. In questi luoghi che sono fuori dalla legge, che sono fuorilegge, il diritto si sospende. Vige uno stato di eccezione ricorda Marco, e lo fa in modo più esteso anche nel suo libro, rifacendosi ad Agamben e alla Arendt. E si potrebbe risalire fino ad Aristotele in merito alla condizione di schiavo non molto distante concettualmente da quella "in potenza" e per molti internati dei CIE anche "in atto."
"Siamo in presenza di una situazione di eccezione della normalità. Del diritto che vale per tutti.
Questa è la violenza fondamentale.
Stabilire che ci sono persone che non sono più persone perché non possono esercitare i proprio diritti umani. Legati ad una condizione di cittadinanza. Ed essendo questi non cittadini, nuovi APOLIDI, determinati tali dalla legge. Ad essi vengono negati tutti i diritti a partire dal quel diritto fondamentale: il diritto alla LIBERTA'."
Rovelli invita tutti ad andare oltre al concetto della struttura del CIE per comprendere che esso non serve solo ad identificare e/o ad espellere ma è il terminale di una politica sulla migrazione finalizzata alla servilizzazione.
Alla CREAZIONE di SERVI.
E questo in Italia e in Europa sostiene Rovelli. Ma a me pare che si potrebbe parlare, purtroppo, di una situazione diffusa e planetaria come proverò a dimostrare più sotto.
Perché il CLANDESTINO SERVE", incalza Marco.
"La parola, ricorda, viene dal latino e significa etimologicamente "COLUI CHE STA NASCOSTO ALLA LUCE DEL GIORNO. Colui che sta nell'ombra, che non emerge mai alla luce.
Nell'ombra, ricorda Marco, ci sono figure confuse, non ci sono identità.
Non ci sono volti.
Non ci sono nomi.
Non ci sono persone.
C'è solo un grande fantasma.
Un grande uomo nero.
Che serve per fare PAURA.
Citazioni agghiaccianti e convergenti, nella sostanza, fra il discorso di Manlio Milani sulla strage di Piazza Loggia che trovate qui, in liberostile (http://liberostile.blogspot.com/2010/07/21-giugno-strage-di-piazza-loggia.html) e in quello di Marco Rovelli che sto provando a restituire.
Ed ecco il passaggio nodale del discorso di Rovelli.
"La grande macchina mediatico-politica del nostro tempo, continua Marco, usa il clandestino come uomo nero. Perché la PAURA è FONDAMENTALE per la costruzione del CONSENSO POLITICO.
TANTA PIU' PAURA C'E' IN UNA SOCIETA' tanta meno LIBERTA' C'E'.
TANTO PIU' LE PERSONE SONO DISPOSTE a rinunciare volontariamente Ai PROPRI DIRITTI IN NOME DELLA SICUREZZA.
E poi IL SERVO SERVE ALLA MACCHINA ECONOMICA.
Infatti non avendo diritti un clandestino non può rivendicare alcunché ed è costretto ad accettare qualsiasi ricatto.
Rovelli fa l'appropriato richiamo e distinguo a proposito dell'uso del termine clandestino.
Clandestino non solo rivolto a chi è irregolare privo di permesso di soggiorno.
"I MIGRANTI IN GENERALE SONO CLANDESTINI" afferma Rovelli perché LA SPIRALE, PERVERSA, si ripete sempre uguale a se stessa.
Clandestino dunque è la condizione riferibile potenzialmente anche a chi, pur regolare, può venir ricacciato nella clandestinità. Per la sequenza: lavoro/permesso di soggiorno/ Condizione di regolarità.
Che è perdibile. Per la possibile sequenza successiva di: perdita del lavoro/perdita del permesso di soggiorno/clandestinità.
RICATTO DEL LAVORO.
IL CLANDESTINO E' SOGGETTO ad una serie RICATTI.
" E allora lo slogan SIAMO TUTTI CLANDESTINI, conclude Rovelli, sottolineando l'immagine speculare di "NESSUNO E' CLANDESTINO" trova la sua verità nel campo del lavoro. Per quella condizione che ci accomuna tutti.
"Siamo tutti CLANDESTINI perché siamo tutti parte di un grande processo di erosione dei diritti del lavoro, dei diritti dei lavoratori, dei diritti del mondo del lavoro. Che è un processo di precarizzazione globale e di servilizzazione totale di cui il clandestino è il punto finale. Il clandestino è un PRECARIO ASSOLUTO."
E all'OPERAIO CHE VOTA LEGA, e che si fa prendere da quest'odio sociale, bisognerebbe FAR CAPIRE che sta andando contro i suoi stessi interessi perché IL MODO PER DIFENDERE I PROPRI DIRITTI STA NEL DIFENDERE I DIRITTI DI TUTTI.
Termino qui il report sul contributo significativo di Marco Rovelli che ha continuato la sua riflessione sul tema del lavoro.
Nel gioco delle parti c'è chi discrimina e chi è discriminato, uno sfruttato e uno sfruttatore.
POVERTA', MANCANZA DI LAVORO, DIRITTI VIOLATI sono alcuni gli elementi su cui si basa la storia.
Anche la storia delle discriminazioni.
Ma se la parte è una sola?
Mi viene in mente "L'ECCEZIONE E LA REGOLA" di Bertolt Brecht e la chiusa del testo.
"Così termina la storia di un viaggio.
Avete ascoltato e avete veduto ciò che è abituale, ciò che succede ogni giorno.
Ma noi vi preghiamo: se pur sia consueto, trovatelo strano"!
Inspiegabile, pur se normale!
Quello che è usuale, vi possa sorprendere!
Nella regola riconoscete l'abuso e dove l'avete riconosciuto procurate rimedio!
Questo monito accompagna la mia vita di tutti i giorni e anche il tentativo di essere intellettualmente, e non solo, onesti.
Più che di servi forse è più corretto parlare di SCHIAVI.
Fra le notizie censurate del 2009 una riguarda proprio il dato sulla SCHIAVITU'MONDIALE.
CENSURA 2009, notizia 15.
Titolo: "SCHIAVITU MONDIALE".
"Attualmente nel mondo esistono 27 MILIONI DI SCHIAVI, più che in ogni epoca storica. La globalizzazione, la povertà, la violenza e l'avidità favoriscono l'aumento della schiavitù, non solo nel Terzo mondo, ma anche nei paesi più sviluppati... (continua)
La forma più diffusa di schiavitù sarebbe la schiavitù sessuale (79%) seguita dallo sfruttamento lavorativo (18%), secondo i dati del Rapporto ONU sul traffico di esseri umani a livello globale, febbraio 2009.
L'ILO (International Labour Organization) stima in 2 MILIONI la crescita netta su base annua del numero complessivo di schiavi in tutto il mondo.
"LIBERARE E RIABILITARE UNO SCHIAVO IN UN PAESE POVERO COSTA CIRCA 400-600 dollari. Moltiplicando questa cifra per il numero complessivo stimato di schiavi, il totale necessario a livello mondiale non supererebbe i 10,5 miliardi di dollari."
(Fonte: Mirela Xanthaki, "Human Slavery Thriving in the Shadows", Inter Press Service, 14 febbraio 2009.)
Voglio, con un certo senso di disperazione ma anche con la coscienza di dover continuare a lottare, chiudere con le parole di Herta Müller.
Dedicate a tutti.
HERTA MULLER, da Parole d'Autore. I lemmi del Vocabolario Europeo, edizione 2009,
Per il vocabolario europeo Herta Müller ha scelto il vocabolo
Lager s.n. campo
[...] Im Deutschen höre ich aus diesen unschuldigen Verwendungen des Wortes Lager immer den Schrecken, eine Verstörung. Die mit dem Wort lager bezeichneten Dinge haben ein Versteck.
[...] Nelle accezioni innocenti della parola Lager in tedesco sento sempre il terrore, il turbamento psichico. Le cose designate con la parola Lager hanno una specie di nascondiglio."
Silvia Berruto, GCR, Aosta
N.B. PHOTOS
chi intende usare la foto pubblicata svp citi la fonte
Il corteo avanza...
Parte II
... ma mentre stavo scrivendo la prima parte di questo testo ho appreso di una rivolta in corso al CIE di corso Brunelleschi.
non conosco gli sviluppi.
Report. Parte II. Manif. del 10 luglio antirazzista.
Il corteo avanza, sotto un sole giaguaro.
Effettua alcune brevi tappe davanti al mercato e agli incroci affollati delle strade che si trovano lungo il percorso della marcia: per informare il quartiere, per spiegare ai cittadini le ragioni della manif, per raccontare le storie di chi è dentro a(i)l CIE.
Il corteo si conclude davanti al viale alberato, antistante al CIE, dove la gente si assiepa e continua la manifestazione.
La voce di una giovane donna rivolge, dal microfono aperto e libero, "un saluto a tutti i richiusi dentro al CIE. CIAOOOO!"
Un CIAO-ovation con applausi, collettivi e dal basso, si leva.
Per chi è dentro!
Il primo intervento è la testimonianza di un attivista ed è relativa al CIE di Gradisca d'Isonzo (TS).
Dopo aver rivolto "un saluto a tutti e a tutte, soprattutto a quelli e a quelle che sono dentro a questi centri di internamento, a questi centri assurdi che noi vogliamo chiudere" l'attivista inizia il suo racconto.
"Gradisca è stato il primo CIE pensato, costruito e realizzato proprio per essere un CIE."
Il primo ad essere stato concepito per essere un CIE.
"Per impedire le rivolte e le fughe di chi ci sta dentro.
Noi lo definiamo un NON LUOGO. Perché è un posto in cui tutti i letti sono incassati a terra, le sedie sono incassate a terra. Tutto è di cemento."
Il muro, racconta il testimone, è ancora più impressionante di quello perimetrale del CIE di corso Brunelleschi. Sulla statale. Il CIE di Gradisca è fuori dal centro abitato. E' di cemento armato.
L'attivista racconta di due anni di lotta condotti attraverso manifestazioni, presidi, azioni dirette, azioni legali, "per impedire l'apertura di questo CIE". Per un anno e mezzo il movimento è riuscito a non far aprire il centro. "Un risultato sicuramente piccolo ma comunque significativo perché per un anno e mezzo nessuno è stato rinchiuso. Quando l'hanno aperto ci siamo opposti fisicamente facendoci caricare dalla polizia comandata direttamente dal ministero degli interni."
Vi sono stati tentativi di fuga e fughe riuscite. Ricorrenti sono (state) anche le rivolte, i fenomeni di autolesionismo e gli atti di distruzione degli "arredi" interni di entità tale da dover denunciare la mancanza di fondi per una ristrutturazione del CIE.
"La situazione è difficile. E' impossibile comunicare con chi è dentro. In tutta la regione, per i comitati antirazzisti di Trieste, Udine, Pordenone e Monfalcone il CIE di Gradisca è sempre al centro dell'attenzione che è tenuta, sempre, molto alta, e che come tutti i CIE deve essere chiusa prima e subito!"
Antonio, attivista milanese del comitato antirazzista, riflette e testimonia sul CIE di Milano.
"Chiudere prima e subito queste strutture criminali che solo una mente perversa poteva concepire ..." Dopo un excursus cronologico sull'idea e sull'attuazione dei centri, CPT e CIE, l'attivista segnala che, quest'anno, al Cie di Via Corelli, c'è stato il più lungo sciopero della fame della storia dei CIE italiani. Racconta di uomini e donne che per mesi hanno fatto lo sciopero della fame e il comitato antirazzista ha portato da mangiare e da bere a chi faceva lo sciopero a staffetta: "Sì perché, oltre a tutto, all'interno di questi centri di detenzione il cibo sembra che sia letteralmente schifoso.
Le cooperative. Le cooperative si prestano, e magari anche cooperative rosse, a dar da mangiare, mettendoci dentro il bromuro, mettendoci dentro delle robe schifose per farli dormire. Questo succede continuamente nei CIE. Le rivolte che ci sono state e che ci saranno avranno sempre nei comitati antirazzisti e nelle persone decenti in questo paese un mettersi di fronte, un mettersi contro.
Perché oggi l'unica soluzione contro questa barbarie è mettersi contro!
Un'attivista segnala il prossimo campeggio NO BORDER CAMP IN BRUSSELS, dal 25.09 al 3.10 a Bruxelles, organizzato dalla rete europea di attivisti contro la politica migratoria europea e i CIE (www.noborderbxl.eu.org).
Nel frattempo una pallina da tennis, lanciata "da dentro" reca la richiesta di fare gruppo di pressione sul consolato del Marocco. Dalla rete dei CIE è arrivata la richiesta di una più ampia mobilitazione e pressione su tutti i consolati.
Karim Metref prende la parola e parla a nome del gruppo degli immigrati autoorganizzati che ha partecipato e organizzato il corteo e la manif.
Karim, dopo aver sollecitato a preparare meglio in futuro le manif., segnala che nella campagna di promozione dell'ultima settimana, effettuata a cura del gruppo e realizzata attraverso volantinaggio a Porta Palazzo e nei luoghi frequentati dagli immigrati, "abbiamo passato più tempo a spiegare che cosa è il CIE che a dire di partecipare.
La gente non sa che cosa è il CIE. Perché c'è molta disinformazione."
E' idea diffusa che chi si trova nel CIE abbia commesso qualcosa, che si tratti di spacciatori o di ladri mentre chi se ne sta tranquillo non viene messo in carcere.
Penso che Karim sia molto duro e molto critico nel suo discorso che è intellettualmente onesto come i contributi che ho potuto ascoltare questa sera.
"C'è un grande lavoro da fare per non essere - un pugno di persone - come siamo oggi e per togliere le persone da chi disinforma. Dalle associazioni dell'intercultura, del cous cous, delle feste e delle cene multietniche: perché sono coloro che si danno certificati da antirazzisti e da interculturali che hanno creato i CIE. Sono loro che oggi vanno in giro e parlano A NOME DELL'ANTIRAZZISMO.
Ebbene bisogna dire oggi che NON E' ANTIRAZZISTA CHI HA COSTRUITO I CIE.
NON E' ANTIRAZZISTA CHI LI HA PROGETTATI - anzi E' RAZZISTA CHI LI HA COSTRUITI.
E' RAZZISTA CHI LI HA PROGETTATI.
E' RAZZISTA CHI LI STA GESTENDO. E CHE NE VIVE.
Non possiamo disturbare (i razzisti,nda) nei salotti televisivi ma almeno nelle conferenze, nei convegni e negli incontri in città non dobbiamo più lasciargli lo spazio per presentarsi e per PARLARE A NOME DEGLI IMMIGRATI o A NOME DELL'ANTIRAZZISMO.
E' la legge Turco-Napolitano che fa sì che in queste e nelle prossime settimane migliaia di persone ricadranno di nuovo nella clandestinità e rischieranno di trovarsi in carcere.
Perché non CE L'HANNO MAI FATTA A FARE LA famosa CARTA DI SOGGIORNO.
Perché NON HANNO MAI AVUTO UN LAVORO a LUNGA DURATA.
NON HANNO MAI AVUTO UN CONTRATTO DECENTE così come non ce l'hanno migliaia e migliaia di giovani italiani."
Queste persone, in Italia magari anche da quindici anni e che hanno sempre pagato le tasse, rischiano di RICADERE nella clandestinità.
Rischiano di ritrovarsi in un CIE e "NON LO SANNO NEMMENO. Perché stanno ad ascoltare in TV la Livia Turco che viene a dire che il razzismo è una brutta cosa, ma senza mai dire QUALCOSA DI CONCRETO.
Senza MAI DIRE COSA E' L'ANTIRAZZISMO.
L'ANTIRAZZISMO è innanzitutto. NON DEVE ESISTERE IL REATO DI POVERTA'.
L'antirazzismo è. Se gli occidentali e quelli dei paesi ricchi possono andare a fare turismo in Senegal o in un altro posto, anche turismo sessuale a danno dei bambini, perché un Senegalese non può venire in Italia?
Perché I POVERI NON SI POSSONO SPOSTARE?
Se bisogna parlare dei FLUSSI MIGRATORI, parliamone. Ma a partire dalle cause.
Dal PERCHE' una ragazza nigeriana viene in Italia. Da zone che potrebbero essere le più ricche del mondo ma che oggi sono completamente morte. Dei popoli che vivevano intorno al delta del Niger e che oggi si ritrovano a Benin City: nelle baraccopoli. Sono quelle le ragazze che cercano di entrare o entrano in Italia per svendersi sulle strade d'Italia.
Si fanno i CIE perché sono una macchina per raccogliere i voti.
Si fa la REPRESSIONE DEI POVERI per raccogliere i voti.
Ma si cerca anche IL CERTIFICATO DI ANTIRAZZISMO!
Noi, come collettivo di immigrati autoorganizzati a Torino siamo pochi. Però tra di noi CI SIAMO MESSI D'ACCORDO: non li lasceremo mai più parlare in pubblico di antirazzismo senza andare a disturbarli e senza andare a buttare le loro verità in faccia!"
Poi è la volta del contributo di Marco Rovelli al cui libro già citato, "Lager Italiani" rimando.
"Siamo qui davanti a queste mura, per manifestare, ancora una volta, la nostra opposizione radicale a questi luoghi di esclusione e di reclusione che sono i centri.
Fare questo significa manifestare un' opposizione radicale a tutto un sistema di politica che lega l'immigrazione ad un fatto di inferiorizzazione, di minorizzazione, di clandestinizzazione e di servilizzazione.
E' evidente un CPT è un luogo inumano."
L'inumanità dei CIE non sta solo nelle violenze fisiche, giuridiche, e nella negazione dei più elementari diritti umani che quotidianamente sono violati in questo luogo, sostiene Rovelli, ma sta nella sua natura: nella sua natura di campo. Prima CPT ora CIE.
E' un campo.
Per dire campo in tedesco c'è una parola che è "Lager".
Il concetto e la pratica dei CIE sono le stesse dei Lager del Novecento dice Rovelli. "Un luogo di sospensione del diritto, un luogo dove il diritto si autosospende nella sua universalità."
Già questo è uno dei passaggi agghiacciante. E non solo dal punto di vista speculativo.
"Il diritto universale, il diritto ordinario non vale più. In questi luoghi che sono fuori dalla legge, che sono fuorilegge, il diritto si sospende. Vige uno stato di eccezione ricorda Marco, e lo fa in modo più esteso anche nel suo libro, rifacendosi ad Agamben e alla Arendt. E si potrebbe risalire fino ad Aristotele in merito alla condizione di schiavo non molto distante concettualmente da quella "in potenza" e per molti internati dei CIE anche "in atto."
"Siamo in presenza di una situazione di eccezione della normalità. Del diritto che vale per tutti.
Questa è la violenza fondamentale.
Stabilire che ci sono persone che non sono più persone perché non possono esercitare i proprio diritti umani. Legati ad una condizione di cittadinanza. Ed essendo questi non cittadini, nuovi APOLIDI, determinati tali dalla legge. Ad essi vengono negati tutti i diritti a partire dal quel diritto fondamentale: il diritto alla LIBERTA'."
Rovelli invita tutti ad andare oltre al concetto della struttura del CIE per comprendere che esso non serve solo ad identificare e/o ad espellere ma è il terminale di una politica sulla migrazione finalizzata alla servilizzazione.
Alla CREAZIONE di SERVI.
E questo in Italia e in Europa sostiene Rovelli. Ma a me pare che si potrebbe parlare, purtroppo, di una situazione diffusa e planetaria come proverò a dimostrare più sotto.
Perché il CLANDESTINO SERVE", incalza Marco.
"La parola, ricorda, viene dal latino e significa etimologicamente "COLUI CHE STA NASCOSTO ALLA LUCE DEL GIORNO. Colui che sta nell'ombra, che non emerge mai alla luce.
Nell'ombra, ricorda Marco, ci sono figure confuse, non ci sono identità.
Non ci sono volti.
Non ci sono nomi.
Non ci sono persone.
C'è solo un grande fantasma.
Un grande uomo nero.
Che serve per fare PAURA.
Citazioni agghiaccianti e convergenti, nella sostanza, fra il discorso di Manlio Milani sulla strage di Piazza Loggia che trovate qui, in liberostile (http://liberostile.blogspot.com/2010/07/21-giugno-strage-di-piazza-loggia.html) e in quello di Marco Rovelli che sto provando a restituire.
Ed ecco il passaggio nodale del discorso di Rovelli.
"La grande macchina mediatico-politica del nostro tempo, continua Marco, usa il clandestino come uomo nero. Perché la PAURA è FONDAMENTALE per la costruzione del CONSENSO POLITICO.
TANTA PIU' PAURA C'E' IN UNA SOCIETA' tanta meno LIBERTA' C'E'.
TANTO PIU' LE PERSONE SONO DISPOSTE a rinunciare volontariamente Ai PROPRI DIRITTI IN NOME DELLA SICUREZZA.
E poi IL SERVO SERVE ALLA MACCHINA ECONOMICA.
Infatti non avendo diritti un clandestino non può rivendicare alcunché ed è costretto ad accettare qualsiasi ricatto.
Rovelli fa l'appropriato richiamo e distinguo a proposito dell'uso del termine clandestino.
Clandestino non solo rivolto a chi è irregolare privo di permesso di soggiorno.
"I MIGRANTI IN GENERALE SONO CLANDESTINI" afferma Rovelli perché LA SPIRALE, PERVERSA, si ripete sempre uguale a se stessa.
Clandestino dunque è la condizione riferibile potenzialmente anche a chi, pur regolare, può venir ricacciato nella clandestinità. Per la sequenza: lavoro/permesso di soggiorno/ Condizione di regolarità.
Che è perdibile. Per la possibile sequenza successiva di: perdita del lavoro/perdita del permesso di soggiorno/clandestinità.
RICATTO DEL LAVORO.
IL CLANDESTINO E' SOGGETTO ad una serie RICATTI.
" E allora lo slogan SIAMO TUTTI CLANDESTINI, conclude Rovelli, sottolineando l'immagine speculare di "NESSUNO E' CLANDESTINO" trova la sua verità nel campo del lavoro. Per quella condizione che ci accomuna tutti.
"Siamo tutti CLANDESTINI perché siamo tutti parte di un grande processo di erosione dei diritti del lavoro, dei diritti dei lavoratori, dei diritti del mondo del lavoro. Che è un processo di precarizzazione globale e di servilizzazione totale di cui il clandestino è il punto finale. Il clandestino è un PRECARIO ASSOLUTO."
E all'OPERAIO CHE VOTA LEGA, e che si fa prendere da quest'odio sociale, bisognerebbe FAR CAPIRE che sta andando contro i suoi stessi interessi perché IL MODO PER DIFENDERE I PROPRI DIRITTI STA NEL DIFENDERE I DIRITTI DI TUTTI.
Termino qui il report sul contributo significativo di Marco Rovelli che ha continuato la sua riflessione sul tema del lavoro.
Nel gioco delle parti c'è chi discrimina e chi è discriminato, uno sfruttato e uno sfruttatore.
POVERTA', MANCANZA DI LAVORO, DIRITTI VIOLATI sono alcuni gli elementi su cui si basa la storia.
Anche la storia delle discriminazioni.
Ma se la parte è una sola?
Mi viene in mente "L'ECCEZIONE E LA REGOLA" di Bertolt Brecht e la chiusa del testo.
"Così termina la storia di un viaggio.
Avete ascoltato e avete veduto ciò che è abituale, ciò che succede ogni giorno.
Ma noi vi preghiamo: se pur sia consueto, trovatelo strano"!
Inspiegabile, pur se normale!
Quello che è usuale, vi possa sorprendere!
Nella regola riconoscete l'abuso e dove l'avete riconosciuto procurate rimedio!
Questo monito accompagna la mia vita di tutti i giorni e anche il tentativo di essere intellettualmente, e non solo, onesti.
Più che di servi forse è più corretto parlare di SCHIAVI.
Fra le notizie censurate del 2009 una riguarda proprio il dato sulla SCHIAVITU'MONDIALE.
CENSURA 2009, notizia 15.
Titolo: "SCHIAVITU MONDIALE".
"Attualmente nel mondo esistono 27 MILIONI DI SCHIAVI, più che in ogni epoca storica. La globalizzazione, la povertà, la violenza e l'avidità favoriscono l'aumento della schiavitù, non solo nel Terzo mondo, ma anche nei paesi più sviluppati... (continua)
La forma più diffusa di schiavitù sarebbe la schiavitù sessuale (79%) seguita dallo sfruttamento lavorativo (18%), secondo i dati del Rapporto ONU sul traffico di esseri umani a livello globale, febbraio 2009.
L'ILO (International Labour Organization) stima in 2 MILIONI la crescita netta su base annua del numero complessivo di schiavi in tutto il mondo.
"LIBERARE E RIABILITARE UNO SCHIAVO IN UN PAESE POVERO COSTA CIRCA 400-600 dollari. Moltiplicando questa cifra per il numero complessivo stimato di schiavi, il totale necessario a livello mondiale non supererebbe i 10,5 miliardi di dollari."
(Fonte: Mirela Xanthaki, "Human Slavery Thriving in the Shadows", Inter Press Service, 14 febbraio 2009.)
Voglio, con un certo senso di disperazione ma anche con la coscienza di dover continuare a lottare, chiudere con le parole di Herta Müller.
Dedicate a tutti.
HERTA MULLER, da Parole d'Autore. I lemmi del Vocabolario Europeo, edizione 2009,
Per il vocabolario europeo Herta Müller ha scelto il vocabolo
non sono solo palle ... Photo silvia berruto_10.07.2010 |
Lager s.n. campo
[...] Im Deutschen höre ich aus diesen unschuldigen Verwendungen des Wortes Lager immer den Schrecken, eine Verstörung. Die mit dem Wort lager bezeichneten Dinge haben ein Versteck.
[...] Nelle accezioni innocenti della parola Lager in tedesco sento sempre il terrore, il turbamento psichico. Le cose designate con la parola Lager hanno una specie di nascondiglio."
Silvia Berruto, GCR, Aosta
N.B. PHOTOS
chi intende usare la foto pubblicata svp citi la fonte
17 luglio 2010
VITTIME DI STATO. QUALE GIUSTIZIA?
dal 17 al 21 Luglio 2010 — Genova, Iniziative 2010
http://www.veritagiustizia.it/iniziative/dal_17_al_21_luglio_2010_genova_iniziative_2010.php
Sabato 17 e Domenica 18 Luglio 2010
Il Comitato Piazza Carlo Giuliani organizza a Genova 4 incontri sul tema Vittime di Stato, quale giustizia?
Martedi' 20 Luglio 2010 - dalle ore 15 alle ore 20
Il Comitato Piazza Carlo Giuliani rinnova l'invito in Piazza Alimonda
Musica, teatro, letture in piazza..
Mercoledi' 21 Luglio 2010 - dalle ore 17.00
Il Comitato Verita' e Giustizia per Genova vi invita c/o il circolo “Lo Zenzero”, via Torti 35 - Genova alla Presentazione Annuario Diritti Globali 2010
Lorenzo Guadagnucci (giornalista del Resto del Carlino, autore del libro “Noi della Diaz”) intervista il curatore Sergio Segio
Intervengono:
Ciro Pesacane (Forum Ambientalista)
Enrica Bartesaghi (Presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova)
Coordina: Antonio Bruno, consigliere comunale
Segue cena di autofinanziamento alle ore 19.00 sempre presso il circolo "Lo Zenzero".
Alle ore 21.00 da Piazza Martinez partira' la fiaccolata verso la scuola Diaz.
Il volantino della serata
www.veritaegiustizia.it
http://www.veritagiustizia.it/iniziative/dal_17_al_21_luglio_2010_genova_iniziative_2010.php
Sabato 17 e Domenica 18 Luglio 2010
Il Comitato Piazza Carlo Giuliani organizza a Genova 4 incontri sul tema Vittime di Stato, quale giustizia?
Martedi' 20 Luglio 2010 - dalle ore 15 alle ore 20
Il Comitato Piazza Carlo Giuliani rinnova l'invito in Piazza Alimonda
Musica, teatro, letture in piazza..
Mercoledi' 21 Luglio 2010 - dalle ore 17.00
Il Comitato Verita' e Giustizia per Genova vi invita c/o il circolo “Lo Zenzero”, via Torti 35 - Genova alla Presentazione Annuario Diritti Globali 2010
Lorenzo Guadagnucci (giornalista del Resto del Carlino, autore del libro “Noi della Diaz”) intervista il curatore Sergio Segio
Intervengono:
Ciro Pesacane (Forum Ambientalista)
Enrica Bartesaghi (Presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova)
Coordina: Antonio Bruno, consigliere comunale
Segue cena di autofinanziamento alle ore 19.00 sempre presso il circolo "Lo Zenzero".
Alle ore 21.00 da Piazza Martinez partira' la fiaccolata verso la scuola Diaz.
Il volantino della serata
www.veritaegiustizia.it
15 luglio 2010
CHIUDERE I CIE SUBITO. 10 LUGLIO ANTIRAZZISTA A TORINO
Torino 10 luglio 2010
ore 16.00 - Corteo da Piazza Sabotino al CIE di corso Brunelleschi
no-cie.noblogs.org
Iniziativa organizzata dal coordinamento 10 luglio antirazzista
APPELLO
Torino è antirazzista
photo silvia berruto_10.07.2010
1000
Ma forse saremmo stati anche di più.
A manifestare la nostra dissociazione dall'irricevibilità della sola idea dell'istituzione dei CIE, dalla loro realizzazione e, infine, per esigere LA CHIUSURA IMMEDIATA DI TUTTI I CIE italiani.
C.I.E. sta per CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
Arrivo in piazza con un certo anticipo per scambiare qualche idea con qualche attivista del movimento.
Incontro il Daniele di Askatasuna. "Ognuno deve essere organizzatore di una giornata come quella di oggi, dice. E' importante non delegare niente a nessuno ma essere noi stessi organizzatori. Dal basso."
Chiedo a Daniele qual è il taglio che Askatasuna - centro sociale torinese da quattordici anni radicato sul territorio impegnato nelle battaglie quotidiane a fianco e dalla parte di chi non ha voce e di chi è più debole - intende dare alla giornata antirazzista di oggi.
"La giornata non ha organizzazione istituzionale. E' una giornata organizzata da gente che vuole combattere il razzismo e fare qualcosa contro le frontiere e a favore dei migranti, contro i CIE. Il CIE di corso Brunelleschi vive ancora molti presidi quotidiani sia sotto le sue mura sia a livello attivo di solidarietà. Farsi sentire al di fuori delle mura e portare sostegno loro, o anche solo cercare di fare qualche cosa per non farli rimpatriare magari in posti dove altrimenti troverebbero la fine. Noi ci stiamo attivando perché tutto questo finisca, affinché il CIE chiuda e perché queste persone - soltanto colpevoli di non avere un foglio di carta giusto, perché la verità è che si tratta di non avere un documento - possano avere anche loro la libertà.
"Cosa auguri a TUTTI NOI, anche se qualcuno ancora distingue fra un NOI e un LORO, concependo, parlando e agendo, subculturalmente, affinché esistano un NOI e un LORO?
"Auguro che possano tornare al più presto liberi tra di noi, possano mischiarsi in una sorta di integrazione globale e far sì che possiamo percorrere un giorno queste strade senza vedere un colpevole in ogni cosa o il colore della pelle o queste stupidaggini qui!"
Mi siedo sul marciapiede, vicino a Luca, di radio Blackout, col quale ho un veloce scambio di idee perché il corteo sta per partire. Ma c'è il tempo per parlare del volantino di Antirazzisti fuori dal tempo che è a terra di fronte a lui e che si è impegnato a distribuire.
Sul ritmo delle percussioni della Torino Samba Band iniziamo la marcia sotto un sole giaguaro.
Dall'impianto del furgone si alternano musica e messaggi, da un microfono libero e quindi accessibile a tutti.
1000 o anche più
photo silvia berruto_10.07.2010
Libere, libertarie e articolate sono le motivazioni per essere qui.Dal microfono il primo contributo. "Per bloccare e contrastare tutti i dispositivi che vengono messi in atto dal razzismo istituzionale per rendere impossibile una vita degna per gli immigrati e le immigrate in questo paese.
Una giornata di mobilitazione con corteo a cui seguirà un concerto serale sotto le mura del CIE per rendere visibile un'opposizione a questa pigione a cielo aperto e per portare dall'esterno almeno un messaggio di solidarietà verso le persone che sono costrette a essere rinchiuse in attesa di un'espulsione che IMPEDISCE I SOGNI E LE SPERANZE con cui molti erano arrivati in Italia.
CONTRO IL RAZZISMO, CHIUDERE I CIE ORA!"
Samba, canti di lotta, e interventi ritmano la marcia per una manif nonviolenta.
Il volantino del comitato solidale antirazzista del Liceo Giordano Bruno. Il comitato crede che "dipenda da ciascuno di noi la possibilità di rendere migliori le nostre esistenze in ogni ambito di vita, a scuola, nelle università, nei posti di lavoro, nei quartieri. Per la chiusura di tutti i CIE! Per una società solidale, multietnica ed antirazzista! Per la libera autodeterminazione di ogni essere umano! Per il diritto di tutti ad una vita dignitosa."
Ancora dal microfono.
"Il luogo dove stiamo passando in questo momento è la ex clinica San Paolo (in corso Peschiera, ndr) che ha ospitato sino al settembre 2009 circa 300 rifugiati, provenienti dai diversi paesi del corno d'Africa, che in cerca di una vita migliore e, non avendo un posto nel quale vivere, si erano riappropriati di questo spazio, abbandonato da più di dieci anni, e avevano occupato per cercare una casa e per organizzare una lotta che parlava di diritti negati e di libertà.
A settembre dello scorso anno, il comune e la prefettura, con un'operazione studiata nei minimi particolari, procedevano ad uno sgombero soft della clinica San Paolo, spostando le persone da qui in altri luoghi che però non hanno rappresentato una casa e non hanno rappresentato una soluzione definitiva.
Infatti in questi giorni sui quotidiani locali si parla dei rifugiati che vivono nella caserma di Via Asti e dell'incertezza che pesa sul loro destino."
Viene ricordata via Revello, cito dall'intervento libero dal microfono, "dove c'è ancora una piccola occupazione di Casa Bianca dove abitano coloro che, di fronte alle proposte del comune della prefettura, hanno rifiutato e hanno scelto di restare in occupazione, di riappropriarsi della casa e di provare a riappropriarsi della vita.
Essere contro i CIE significa oggi essere contro la criminale politica dei respingimenti in mare del Ministro Maroni e di questo governo.
Per la chiusura dei CIE, per il riconoscimento dei diritti reali, per la libertà, per la dignità dei migranti e delle migranti."
Sul volantino del FAI (Federazione anarchica torinese) si legge: "Se un giorno ci chiederanno "dov'eravate quando la gente moriva in mare e nel deserto? Dov'eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Vorremmo poter rispondere "ero lì, con gli altri a resistere". Mettersi in mezzo è un'urgenza che parla a ciascuno di noi. Se non ora, quando? Se non io, chi per me ?
E queste sono le mie ragioni.
Sono partita da Aosta apposta per essere alla manif.
Sono venuta prima come essere umano, poi come zoòn politikòn, poi come donna, poi come cittadina, e, infine come aderente a GCR, giornalisti contro il razzismo.
Per rendermi conto di persona dello stato delle cose, per partecipare, per dissociarmi, per scrivere e per fotografare: insomma per testimoniare. Per fare autocritica e per fare critica.
Infatti, conosco il c.i.e. di corso Brunelleschi, solo per la descrizione che ne fa Marco Rovelli nel suo libro "LAGER ITALIANI" (BUR, 2006).
Il corteo arriva in corso Brunelleschi e si ferma davanti al muro di cinta del centro.
Da lontano le mura perimetrali del cie sono le tipiche mura, tutte molto simili nel loro concept, di molte carceri metropolitane italiane.
Da vicino il CIE è, strutturalmente e "architettonicamente", a tutti gli effetti, un carcere.
I manifestanti si fermano davanti alle mura per un sit-in connotato soprattutto dalla voglia di COMUNICARE coi migranti che sono dentro.
Perché sappiano e sentano di non essere soli.
Anche se certamente non potranno mai comprendere ed accettare, come noi del resto, questo sistema-lager, non solo italiano.
C.I.E. acronimo per CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
Sono l'evoluzione dei CPT, acronimo che sta per CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA.
Un assurdo.
Ontologicamente e per senso.
Per l'intrinseca contraddizione semantica esistente fra il concetto di permanenza, che presenta i caratteri di stabilità e durata, e per la giustapposizione dell'aggettivo "temporanea" che ne nega, immediatamente, il senso e il contenuto.
Una sospensione di senso.
Nella dicitura originaria l'acronimo presentava anche la lettera A che stava per "assistenza".
Parola persa nel senso, nella memoria e nella prassi, come ricorda nel suo libro Marco Rovelli.
Ad una sospensione di senso si accompagna una sospensione giuridica: spesso la sospensione dello status di richiedente asilo.
Svanita, la lettera, svaniti o negati, alcuni diritti delle persone, che si è autorizzati a chiamare "internati."
Il CIE è un non luogo.
Un non luogo per non persone.
Un non luogo per non diritti.
Un luogo di perdita.
Nei CIE si viene internati per varie ragioni e vi si può rimanere sino a sei mesi.
In attesa di essere rimpatriati attraverso un'operazione assimilabile ad una deportazione da quanto si sa, con certezza, dalle numerose testimonianze dirette, pubbliche e pubblicate, degli espulsi.
Su tutto quanto già detto aleggia anche il businness, come risulterebbe dal materiale esposto nel corso della manifestazione del 10 luglio e dal businness sull'assistenza dei rifugiati, secondo quanto emergerebbe dalla recente inchiesta di Enrico Campofreda a Roma pubblicato da TERRA (giugno-luglio 2010) e ripreso da radiocittà aperta.
materiali esposti_10.07.2010
photo silvia berruto_10.07.2010
Ma l'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana e il diritto di asilo, che l'articolo ancora tutela, sono ancora vigenti?
Un'importante azione politica, di COMUNICAZIONE e di RESISTENZA NONVIOLENTE, è da segnalare.
Non è nuova e il movimento la usa da tempo.
E' un sistema creativo di comunicazione coi migranti internati.
Consiste nel lancio dall'esterno degli attivisti, action che diventa poi bidirezionale in un felice ciclo ad libitum di (esterno-interno-esterno), di PALLINE da tennis, portatrici di messaggi.
E di risposte.
voglia di comunicare
Photo silvia berruto_10.07.2010
Dai manifestanti agli internati.
Prima.
voglia di comunicare
Photo silvia berruto_10.07.2010
E dagli internati, resistenti, ai manifestanti.
Poi.
Divisi solo, e solo apparentemente, da un muro di cemento.
il muro del cie
Photo Silvia Berruto_10.07.2010
- CONTINUA-
silvia berruto, GCR, Aosta
N.B. PHOTOS
chi intende usare le foto qui pubblicate svp citi la fonte:
PHOTO SILVIA BERRUTO, Torino, 10 luglio 2010, MANIF. CONTRO I CIE
ore 16.00 - Corteo da Piazza Sabotino al CIE di corso Brunelleschi
no-cie.noblogs.org
Iniziativa organizzata dal coordinamento 10 luglio antirazzista
APPELLO
Torino è antirazzista
photo silvia berruto_10.07.2010
1000
Ma forse saremmo stati anche di più.
A manifestare la nostra dissociazione dall'irricevibilità della sola idea dell'istituzione dei CIE, dalla loro realizzazione e, infine, per esigere LA CHIUSURA IMMEDIATA DI TUTTI I CIE italiani.
C.I.E. sta per CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
Arrivo in piazza con un certo anticipo per scambiare qualche idea con qualche attivista del movimento.
Incontro il Daniele di Askatasuna. "Ognuno deve essere organizzatore di una giornata come quella di oggi, dice. E' importante non delegare niente a nessuno ma essere noi stessi organizzatori. Dal basso."
Chiedo a Daniele qual è il taglio che Askatasuna - centro sociale torinese da quattordici anni radicato sul territorio impegnato nelle battaglie quotidiane a fianco e dalla parte di chi non ha voce e di chi è più debole - intende dare alla giornata antirazzista di oggi.
"La giornata non ha organizzazione istituzionale. E' una giornata organizzata da gente che vuole combattere il razzismo e fare qualcosa contro le frontiere e a favore dei migranti, contro i CIE. Il CIE di corso Brunelleschi vive ancora molti presidi quotidiani sia sotto le sue mura sia a livello attivo di solidarietà. Farsi sentire al di fuori delle mura e portare sostegno loro, o anche solo cercare di fare qualche cosa per non farli rimpatriare magari in posti dove altrimenti troverebbero la fine. Noi ci stiamo attivando perché tutto questo finisca, affinché il CIE chiuda e perché queste persone - soltanto colpevoli di non avere un foglio di carta giusto, perché la verità è che si tratta di non avere un documento - possano avere anche loro la libertà.
"Cosa auguri a TUTTI NOI, anche se qualcuno ancora distingue fra un NOI e un LORO, concependo, parlando e agendo, subculturalmente, affinché esistano un NOI e un LORO?
"Auguro che possano tornare al più presto liberi tra di noi, possano mischiarsi in una sorta di integrazione globale e far sì che possiamo percorrere un giorno queste strade senza vedere un colpevole in ogni cosa o il colore della pelle o queste stupidaggini qui!"
Mi siedo sul marciapiede, vicino a Luca, di radio Blackout, col quale ho un veloce scambio di idee perché il corteo sta per partire. Ma c'è il tempo per parlare del volantino di Antirazzisti fuori dal tempo che è a terra di fronte a lui e che si è impegnato a distribuire.
Sul ritmo delle percussioni della Torino Samba Band iniziamo la marcia sotto un sole giaguaro.
Dall'impianto del furgone si alternano musica e messaggi, da un microfono libero e quindi accessibile a tutti.
1000 o anche più
photo silvia berruto_10.07.2010
Libere, libertarie e articolate sono le motivazioni per essere qui.
Una giornata di mobilitazione con corteo a cui seguirà un concerto serale sotto le mura del CIE per rendere visibile un'opposizione a questa pigione a cielo aperto e per portare dall'esterno almeno un messaggio di solidarietà verso le persone che sono costrette a essere rinchiuse in attesa di un'espulsione che IMPEDISCE I SOGNI E LE SPERANZE con cui molti erano arrivati in Italia.
CONTRO IL RAZZISMO, CHIUDERE I CIE ORA!"
Samba, canti di lotta, e interventi ritmano la marcia per una manif nonviolenta.
Il volantino del comitato solidale antirazzista del Liceo Giordano Bruno. Il comitato crede che "dipenda da ciascuno di noi la possibilità di rendere migliori le nostre esistenze in ogni ambito di vita, a scuola, nelle università, nei posti di lavoro, nei quartieri. Per la chiusura di tutti i CIE! Per una società solidale, multietnica ed antirazzista! Per la libera autodeterminazione di ogni essere umano! Per il diritto di tutti ad una vita dignitosa."
Ancora dal microfono.
"Il luogo dove stiamo passando in questo momento è la ex clinica San Paolo (in corso Peschiera, ndr) che ha ospitato sino al settembre 2009 circa 300 rifugiati, provenienti dai diversi paesi del corno d'Africa, che in cerca di una vita migliore e, non avendo un posto nel quale vivere, si erano riappropriati di questo spazio, abbandonato da più di dieci anni, e avevano occupato per cercare una casa e per organizzare una lotta che parlava di diritti negati e di libertà.
A settembre dello scorso anno, il comune e la prefettura, con un'operazione studiata nei minimi particolari, procedevano ad uno sgombero soft della clinica San Paolo, spostando le persone da qui in altri luoghi che però non hanno rappresentato una casa e non hanno rappresentato una soluzione definitiva.
Infatti in questi giorni sui quotidiani locali si parla dei rifugiati che vivono nella caserma di Via Asti e dell'incertezza che pesa sul loro destino."
Viene ricordata via Revello, cito dall'intervento libero dal microfono, "dove c'è ancora una piccola occupazione di Casa Bianca dove abitano coloro che, di fronte alle proposte del comune della prefettura, hanno rifiutato e hanno scelto di restare in occupazione, di riappropriarsi della casa e di provare a riappropriarsi della vita.
Essere contro i CIE significa oggi essere contro la criminale politica dei respingimenti in mare del Ministro Maroni e di questo governo.
Per la chiusura dei CIE, per il riconoscimento dei diritti reali, per la libertà, per la dignità dei migranti e delle migranti."
Sul volantino del FAI (Federazione anarchica torinese) si legge: "Se un giorno ci chiederanno "dov'eravate quando la gente moriva in mare e nel deserto? Dov'eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Vorremmo poter rispondere "ero lì, con gli altri a resistere". Mettersi in mezzo è un'urgenza che parla a ciascuno di noi. Se non ora, quando? Se non io, chi per me ?
E queste sono le mie ragioni.
Sono partita da Aosta apposta per essere alla manif.
Sono venuta prima come essere umano, poi come zoòn politikòn, poi come donna, poi come cittadina, e, infine come aderente a GCR, giornalisti contro il razzismo.
Per rendermi conto di persona dello stato delle cose, per partecipare, per dissociarmi, per scrivere e per fotografare: insomma per testimoniare. Per fare autocritica e per fare critica.
Infatti, conosco il c.i.e. di corso Brunelleschi, solo per la descrizione che ne fa Marco Rovelli nel suo libro "LAGER ITALIANI" (BUR, 2006).
Il corteo arriva in corso Brunelleschi e si ferma davanti al muro di cinta del centro.
Da lontano le mura perimetrali del cie sono le tipiche mura, tutte molto simili nel loro concept, di molte carceri metropolitane italiane.
Da vicino il CIE è, strutturalmente e "architettonicamente", a tutti gli effetti, un carcere.
I manifestanti si fermano davanti alle mura per un sit-in connotato soprattutto dalla voglia di COMUNICARE coi migranti che sono dentro.
Perché sappiano e sentano di non essere soli.
Anche se certamente non potranno mai comprendere ed accettare, come noi del resto, questo sistema-lager, non solo italiano.
C.I.E. acronimo per CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
Sono l'evoluzione dei CPT, acronimo che sta per CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA.
Un assurdo.
Ontologicamente e per senso.
Per l'intrinseca contraddizione semantica esistente fra il concetto di permanenza, che presenta i caratteri di stabilità e durata, e per la giustapposizione dell'aggettivo "temporanea" che ne nega, immediatamente, il senso e il contenuto.
Una sospensione di senso.
Nella dicitura originaria l'acronimo presentava anche la lettera A che stava per "assistenza".
Parola persa nel senso, nella memoria e nella prassi, come ricorda nel suo libro Marco Rovelli.
Ad una sospensione di senso si accompagna una sospensione giuridica: spesso la sospensione dello status di richiedente asilo.
Svanita, la lettera, svaniti o negati, alcuni diritti delle persone, che si è autorizzati a chiamare "internati."
Il CIE è un non luogo.
Un non luogo per non persone.
Un non luogo per non diritti.
Un luogo di perdita.
Nei CIE si viene internati per varie ragioni e vi si può rimanere sino a sei mesi.
In attesa di essere rimpatriati attraverso un'operazione assimilabile ad una deportazione da quanto si sa, con certezza, dalle numerose testimonianze dirette, pubbliche e pubblicate, degli espulsi.
Su tutto quanto già detto aleggia anche il businness, come risulterebbe dal materiale esposto nel corso della manifestazione del 10 luglio e dal businness sull'assistenza dei rifugiati, secondo quanto emergerebbe dalla recente inchiesta di Enrico Campofreda a Roma pubblicato da TERRA (giugno-luglio 2010) e ripreso da radiocittà aperta.
materiali esposti_10.07.2010
photo silvia berruto_10.07.2010
Ma l'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana e il diritto di asilo, che l'articolo ancora tutela, sono ancora vigenti?
Un'importante azione politica, di COMUNICAZIONE e di RESISTENZA NONVIOLENTE, è da segnalare.
Non è nuova e il movimento la usa da tempo.
E' un sistema creativo di comunicazione coi migranti internati.
Consiste nel lancio dall'esterno degli attivisti, action che diventa poi bidirezionale in un felice ciclo ad libitum di (esterno-interno-esterno), di PALLINE da tennis, portatrici di messaggi.
E di risposte.
voglia di comunicare
Photo silvia berruto_10.07.2010
Dai manifestanti agli internati.
Prima.
voglia di comunicare
Photo silvia berruto_10.07.2010
E dagli internati, resistenti, ai manifestanti.
Poi.
Divisi solo, e solo apparentemente, da un muro di cemento.
il muro del cie
Photo Silvia Berruto_10.07.2010
- CONTINUA-
silvia berruto, GCR, Aosta
N.B. PHOTOS
chi intende usare le foto qui pubblicate svp citi la fonte:
PHOTO SILVIA BERRUTO, Torino, 10 luglio 2010, MANIF. CONTRO I CIE
08 luglio 2010
"21 giugno. Strage di piazza Loggia ... A quando la verità?"
Da sx il Sindaco Avv. Barbara Botti, Manlio Milani, Piera Maculotti, Avv. Gianluigi Abrandini
Salò - 21 giugno 2010 - © Photo Silvia Berruto
21 giugno
Strage di piazza Loggia ... A quando la verità?
36° Anniversario di Piazza Loggia
In memoria del salodiano Vittorio Zambarda
Martedì 28 maggio 1974
Brescia.
Piazza della Loggia.
Ore 10,00. Manifestazione antifascista.
Alle 10 e 12 minuti un'esplosione.
Scoppia una bomba.
Durante una manifestazione antifascista unitaria.
"Si voleva proprio testimoniare una partecipazione che dicesse NO a quell'ondata di violenza che davvero stava preoccupando molto in quel momento storico" ricorda la professoressa Piera Maculotti nell'introdurre la serata.
Il contesto storico e politico di quegli anni, sottolineato con forza anche dagli altri due relatori, era connotato da grandi tensioni - e la strage di Piazza della Loggia è una vicenda della strategia della tensione - ma anche da una forte partecipazione alla vita civile. "Non a caso la piazza, quel martedì 28 maggio, era assolutamente gremita" precisa, determinata, la professoressa.
Nel nome di una partecipazione democratica si trovavano in piazza, quel martedì, tra gli altri, gli otto "caduti consapevoli, militanti partecipi dell'antifascismo internazionale" :
Giulietta Banzi Bazoli
Livia Bottardi Milani
Euplo Natali
Luigi Pinto
Bartolomeo Talenti
Clementina Calzari Trebeschi
Alberto Trebeschi
Vittorio Zambarda.
103 i feriti.
La piazza viene immediatamente ripulita.
Partono i processi.
36 gli anni di indagini, per una strage ancora impunita.
3 i processi svolti sino ad oggi.
Ogni processo è giunto sino alla Cassazione.
Ma una verità giudiziaria oggi ancora non c'è.
Lunedì 21 giugno, a Salò, nella Sala dei Provveditori del Palazzo Municipale, col patrocinio dell'Assessorato alla Cultura della Città di Salò, per l'organizzazione dell' A.N.P.I. Sezione Garda Valsabbia e del Circolo ARCI Vittorio Zambarda (Salò), della Casa della Memoria - Associazione Familiari Caduti Strage di Piazza Loggia, si è svolto un incontro a ricordo del 36° Anniversario di Piazza Loggia e in memoria del salodiano Vittorio Zambarda.
Il Sindaco, Avvocato Barbara Botti ha accolto il pubblico e ha introdotto l'incontro con un excursus di carattere generale, restituendo un messaggio connotato dal timore di incorrere in possibili rischi retorici legati al ricordare.
Senza fare riferimenti specifici ai fatti della strage di Piazza della Loggia, il Sindaco Botti ha richiamato la necessità di una stagione nella quale i "nostri" valori più profondi - umanità, familiarità, solidarietà concreta, solidarietà nella vita civile e democratica - possano essere affermati e trasmessi affinché tutto il paese si rafforzi nella sua coscienza civile. Barbara Botti ha ricordato, citandoli, gli otto "caduti" ringraziando, infine, la Casa della Memoria, l'A.N.P.I. Garda Valsabbia e l'ARCI di Salò "per la partecipazione e per il lavoro a sostegno della democrazia e della civiltà del convivere" senza partecipare, poi, attivamente al dialogo-dibattito col pubblico.
L'incontro è stato condotto dalla Professoressa Piera Maculotti, amica di Clem, di Giulietta e di Livia, in piazza anche lei il 28 maggio 1974, con una testimonianza-aggiornamento giurisprudenziale dell'Avvocato Gianluigi Abrandini e con la testimonianza di Manlio Milani, presidente dell'Associazione familiari caduti Strage di Piazza Loggia.
A quando la verità? A che punto è la verità giudiziaria.
Questa domanda collettiva, ricorrente, ancora senza risposta da quel 28 maggio 1974, inscrivibile nel contesto della storia di tre processi connotati da morti misteriose, prove cancellate, deviazioni e coperture, è stata rivolta all'Avvocato Gianluigi Abrandini, legale di parte civile che sta seguendo questo lungo processo.
La verità storico-politica della strage è sostanzialmente acquisita e consolidata ed "è riconducibile ad esponenti della destra neofascista e del radicalismo di destra che, in collusione con settori dello Stato, hanno preordinato e perpetrato la strage" (Paolo Corsini, intervista del 24 luglio 2002).
L'Avvocato Abrandini ha immediatamente dichiarato che avrebbe esposto gli elementi storici di tutti i processi vissuti in questi trentasei anni.
Ha aperto il suo contributo citando gli imputati di questo processo: Francesco Delfino, Carlo Maria Maggi, Giovanni Maifredi ormai deceduto, Giuseppe (Pino) Rauti, Maurizio Tramonte e Delfo Zorzi.
Per fare un riassunto di tutti i processi che si sono svolti fino ad oggi, a partire dal primo, Abrandini ha ritenuto necessario fare una premessa storica ed economica sul contesto locale, non molto dissimile da quella nazionale, dell'epoca.
L'Avvocato ricorda che "a Brescia in quel periodo era in atto un grosso scontro sociale tra varie componenti economiche, dagli industriali ai sindacati, una forma di coercizione di libertà democratiche che erano in formazione, una grossa partecipazione sociale che, a mio personalissimo giudizio - sottolinea l'avvocato - hanno portato ad una serie di sviluppi di tensioni sociali che hanno coinvolto organismi non solo nazionali ma anche stranieri."
La vicenda della strage e dei caduti di Piazza della Loggia, tra i quali il salodiano Vittorio Zambarda a cui è stata dedicata la serata, va letta e inquadrata nel contesto sopra descritto che porta a verificare l'intervento, con atti che sono presenti nel processo in corso, di "una possibile interconnessione tra parti deviate del nostro Stato con interessi stranieri affinché l'Italia e la nostra democrazia potesse essere sovvertita con la formazione di apparati paralleli, di strutture non legali e non autorizzate formate da ex appartenenti a ideologie e a raggruppamenti contrari alla Repubblica": fra le varie "organizzazioni" Abrandini cita "Gladio".
Queste informazioni, insieme a informative risalenti al 1974, perse e poi ritrovate, mai rese note, non sono state mai poste all'attenzione dei giudici e dei giudicanti dei primi processi, secondo quanto riferisce il legale. Il processo, inoltre, presenta numerosi problemi tecnici e componenti estremamente vaste, per cui è difficile, dichiara Abrandini, dire o proporre risultanze o valutazioni.
E' difficile fare previsioni.
Ma grazie al lavoro di Milani e dei suoi collaboratori e all'impegno della cittadinanza bresciana sostiene l'avvocato "speriamo di riuscire ad avere un accertamento, quantomeno storico, sulla matrice del 28 maggio" che non è un episodio isolato ma che si inserisce in una catena di attentati, forse minori, ma tutti facenti parte della strategia della tensione agita a Brescia.
Mettere la bomba, infine, non è stato un atto isolato compiuto da pochi sbandati o da pochi illusi, ma deriva da una "molto più ampia programmazione di sovvertimento dello stato democratico" termina l'Avvocato Abrandini, citando a braccio, le motivazioni della sentenza di assoluzione di Cesare Ferri, le cui conclusioni, "lasciano alquanto perplessi" per la formula assolutoria contraddittoria e perché vaga nella sua giustificazione giuridica.
L'avvocato Abrandini cita dunque la motivazione: "Nonostante la presenza di precisi, concordi e univoci indizi di reato, non si ha la prova che l'ordigno sia stato posto dagli imputati di quel processo."
"Trame nere", fermenti e atti eversivi non episodici, apparati deviati dello stato: è questo il contesto, in cui la verità giudiziaria è ancora "una nebulosa oscura e i misteri d'Italia e le stragi impunite resistono", sintetizzato dalla professoressa Maculotti. Su questo scenario, composto da un vasto corpus di fatti e fattori concomitanti e da questa deriva in-finita, la professoressa passa la parola a Manlio Milani per una ricognizione sulla verità storico-politica della strage.
Manlio Milani parte dalla definizione di strategia della tensione, che comprende anche la strategia delle bombe, definendola come un sistema che permette a qualcuno di esaltare la paura e, attraverso la paura, ricattare le forme della politica: nei confronti di chi dirige il potere ma anche nei confronti del cittadino. Ovvero nei confronti di una democrazia intesa come forma di partecipazione.
La strategia della tensione e la paura servono come elemento di ricatto utile per esaltare, non una democrazia partecipata basata sulla cittadinanza, ma una democrazia della delega.
"Delegare a qualcuno il comando" chiarisce Milani. E con strategia della tensione si intende proprio l'intenzione di voler esaltare questo tipo di processo.
"Affidarci a qualcuno o a un qualcosa perché è la paura che deve determinare domande d'ordine e quindi sicurezza.
Il dato fondamentale è che essa deve rompere i processi di partecipazione.
Credo che questo sia all'origine anche della strage di Piazza della Loggia.
Noi lo ricordiamo tutti quel fatto.
Ricordiamo le ragioni per cui eravamo in piazza quella mattina."
Le ragioni stavano nel respingere la violenza attraverso la PARTECIPAZIONE.
Il diritto della polis di potersi esprimere liberamente è al centro della manifestazione."Si va nella piazza proprio perché si vuole salvaguardare fino in fondo i rapporti interpersonali e il DIALOGO è l'elemento centrale di quella manifestazione.
Ed è l'elemento centrale quale risposta all'atteggiamento di violenza."
In un contesto in cui si esaltava la violenza la piazza proponeva un sistema partecipativo, costituzionale, che permette alle persone, direi che la parola esatta è cittadini di PARTECIPARE, di DECIDERE, di ESPRIMERE e di PROPORRE PROFONDI CAMBIAMENTI, sottolinea Milani.
La logica, in cui si inserisce l'interazione, è il rispetto reciproco che è anche l'aspetto prevalente di una relazione partecipata.
Le figure degli otto caduti riassumono emblematicamente "quella che poteva essere la realtà di quel tempo" storicizza Milani. Significativa è la relazione e l'interconnessione dei rispettivi mondi di appartenenza: sono cinque insegnanti di cui tre donne; Luigi Pinto, anche lui insegnante, viene dal sud ed è in cerca di lavoro; due sono operai e uno è pensionato.
Persone e mondi connessi in un legame stretto fra mondo della scuola e mondo del lavoro, uniti in un processo di emancipazione della società nel suo insieme.
Ricorda ancora Milani un altro valore aggiunto per Vittorio Zambarda e Euplo Natali: due uomini che avevano partecipato alla Resistenza. "Avevano contribuito nella loro giovinezza a costruire quel patto costituzionale come eredità da consegnare agli altri. Da consegnare a noi che quella mattina eravamo in Piazza." La trasmissione dell'eredità ricevuta dagli altri "che dobbiamo imparare a trasmettere ad altri e a portare nel bagaglio della nostra esperienza" è un altro elemento centrale della manifestazione.
PARTECIPAZIONE come risposta alla VIOLENZA.
La PARTECIPAZIONE come risposta al disegno eversivo che intendeva trasformare radicalmente le istituzioni democratiche.
La straordinaria risposta popolare di Piazza della Loggia, di Piazza Fontana e di altre stragi, sconfiggerà quel tipo di terrorismo. Quel disegno eversivo è stato sconfitto nelle finalità ultime - il sovvertimento violento delle istituzioni - ma non nelle ragioni più interne e più profonde, precisa Milani.
Quali sono state le ragioni di Piazza della Loggia e quali sono le ragioni per le quali sussiste ancora l'IMPUNITA'.
Milani parla di verità sostanzialmente acquisite e sul piano giudiziario e sul piano storico, queste ultime in base ai risultati delle indagini prodotte dalla commissione parlamentare di inchiesta sulle ragioni dell'impunità delle stragi e che qui trovano una precisa identificazione con le risultanze processuali.
"Noi dobbiamo saper vedere al di là del pronunciamento definitivo di colpevolezza o di assoluzione nei confronti degli imputati" continua Milani e dobbiamo imparare a "saper leggere" le motivazioni delle sentenze non fermandoci al mero dispositivo finale.
Per poter comprendere le ragioni per le quali un determinato fatto è avvenuto.
A volte, dice Milani, è molto più importante capire le ragioni per cui un determinato fatto è avvenuto piuttosto di sapere i nomi dei colpevoli.
(continua)
Salò 21 giugno 2010, Palazzo Municipale, Sala dei Provveditori
Silvia Berruto, bresciana, antifascista
socia ANPI - Comitato regionale Valle d'Aosta
© Riproduzione riservata
IO CI SARO' ... PER UNA MANIF NONVIOLENTA
io ci sarò
per una manif nonviolenta
con Karim Ivana e tante e tanti altri
per ragioni legate ai diritti di tutti
per ragioni legate ai diritti di tutti
per ragioni politiche
per testimoniare
che un mondo diverso
è possibile
che un mondo diverso
è possibile
che una società multiculturale c'è già
e la dobbiamo migliorare
insieme
nel nome del diritto
e la dobbiamo migliorare
insieme
nel nome del diritto
della Costituzione Italiana
che
tutela
insieme al diritto internazionale
donne e uomini, bambine e bambini
nostre sorelle e nostri fratelli,
che
tutela
insieme al diritto internazionale
donne e uomini, bambine e bambini
nostre sorelle e nostri fratelli,
dalle dittature
e dal non rispetto dei diritti
per dare un segnale forte
di
dissociazione
per testimoniare
col dovere
di cronaca
e il diritto di informare
e dal non rispetto dei diritti
per dare un segnale forte
di
dissociazione
per testimoniare
col dovere
di cronaca
e il diritto di informare
col mio lavoro
con la mia passione
con la mia com-passione, assolutamente atea e greca
con la mia condivisione
col mio impegno
con la mia passione
con la mia com-passione, assolutamente atea e greca
con la mia condivisione
col mio impegno
col mio essere
attivistasilvia
aderente a Giornalisti contro il razzismo
(http://www.giornalismi.info/mediarom/)
05 luglio 2010
1 tranquillo 3 luglio ... da paura II
II
ore 12:17 e ore 12:03 - sempre 3 luglio 2010
un po' più tardi, dunque
sempre a Via MalFatti 43
attenzione
riprendo lo slang del tekniko
ALLARMI !!!
ALL'ARMI ???!!!
NON ALL'ARMIAMOCI
ché
" ... cagata fuit" et ... cagata manet!
EIA EIA LAVA' o NON LAVA'
12:17
EIA EIA LAVA' o NON LAVA' ?
LA VA NO! o LA VA MINGA ... MI SU NO
12:03
comunque
è
l'asseconda, che ho detto
... poveri UR
&
MET,
pensavo
e
MET NA SERA A CENA
ma non citofornarmi
però
che risponder
non potrò
se UR
&MET
sapessero
che
gente di
MAL AFFARE c'è in giro
&
che
si aggira
e
si
r-aggira proprio qui!
cordiali saluti
da noi autri,
abitanti ancor goliardi
della suburra
Via MalFatti 43 terzo piano
ore 12:17 e ore 12:03 - sempre 3 luglio 2010
un po' più tardi, dunque
sempre a Via MalFatti 43
attenzione
riprendo lo slang del tekniko
ALLARMI !!!
ALL'ARMI ???!!!
NON ALL'ARMIAMOCI
ché
" ... cagata fuit" et ... cagata manet!
EIA EIA LAVA' o NON LAVA'
12:17
EIA EIA LAVA' o NON LAVA' ?
LA VA NO! o LA VA MINGA ... MI SU NO
12:03
comunque
è
l'asseconda, che ho detto
... poveri UR
&
MET,
pensavo
e
MET NA SERA A CENA
ma non citofornarmi
però
che risponder
non potrò
se UR
&MET
sapessero
che
gente di
MAL AFFARE c'è in giro
&
che
si aggira
e
si
r-aggira proprio qui!
cordiali saluti
da noi autri,
abitanti ancor goliardi
della suburra
Via MalFatti 43 terzo piano
La fantasia distruggerà il potere e una risata Vi seppellirà
sl1 tranquillo 3 luglio ... da paura I
I
ore 7:18 e 7:57 - 3 luglio 2010
Via MalFatti 43
una mattina d'estate
un tekniko, un vero tecnico, di comprovata esperienza
segnalato dalla casamadre
supervisionando il reportage
ebbe a dire il 27 maggio scorso
durante la mia intervista, fatta - come sempre - per capire
" ... le han fatto una bella cagata"
mavalà? pensavo da alcuni mesi ...
EIA EIA ...!
ore 7:18
EIA EIA ...!
ore 7:57
sl
ore 7:18 e 7:57 - 3 luglio 2010
Via MalFatti 43
una mattina d'estate
un tekniko, un vero tecnico, di comprovata esperienza
segnalato dalla casamadre
supervisionando il reportage
ebbe a dire il 27 maggio scorso
durante la mia intervista, fatta - come sempre - per capire
" ... le han fatto una bella cagata"
mavalà? pensavo da alcuni mesi ...
EIA EIA ...!
ore 7:18
EIA EIA ...!
ore 7:57
La fantasia distruggerà il potere e ...
sl
01 luglio 2010
OGGI UN ANNO FA
RESISTENZA CIVILE NONVIOLENTA DI LAVORATRICI E DI LAVORATORI
1 luglio 2009 - 1 luglio 2010
Oggi un anno fa finiva un'epoca ma la RESISTENZA CIVILE NONVIOLENTA di 78/89 lavoratrici e lavoratori di 4 cooperative sociali - tre appartenenti al consorzio - del Consorzio Trait d'Union (TDU) di Aosta, caratterizzava l'inizio di un'altra di ben più ampia consapevolezza collettiva nell'ambito del lavoro e della cooperazione sociali valdostane.
78 lavoratrici e lavoratori decisero negli ultimi giorni del giugno 2009, iniziando di fatto la loro resistenza proprio il 1 luglio 2009, di non passare alla PRO.GES che subentrava al TDU nella gestione del servizio di assistenza domiciliare, strutture per anziani, centri diurni, assistenza domiciliare di quartiere periodo 1.07.2009 - 31.12.2011
78 donne e uomini hanno testimoniato, con la loro scelta, e sulla loro pelle, ben più di un concetto, di una filosofia o di un credo ideologico.
Hanno testimoniato che il LAVORO non è UNA MERCE
che LE LAVORATRICI E I LAVORATORI non sono MERCE DI SCAMBIO
che c'è dignità nel dire di NO.
Nel NON ALLINEARSI.
A tutta la popolazione hanno insegnato che un modo diverso per un mondo diverso è possibile.
A loro va la riconoscenza e il tributo di tutte/tutti coloro che hanno compreso.
Ben al di là di quanto si poteva leggere sui giornali e della disinformàzia che regnava sovrana, o mercenaria, nella movìda e nell'opinione pubblica, aostane e valdostane, dell'estate 2009.
Amare ma lucide sono le valutazioni di oggi.
Alcune coincidenti a quelle di un anno fa. La differenza è che sono state confermate dalla storia.
Con buona pace di tutti coloro che,
pur avendo commesso errori, anche irreparabili,
si tratti dell'allora gruppo dirigente del TDU, del gruppo di lavoro preposto alla progettazione e alla consegna del progetto per l'appalto, del CDA del TDU o dell'ente appaltante, non udente e non controllante in modo serrato come invece era stato richiesto dalla base e da una parte della cittadinanza (più di 500 persone parteciparono alla manifestazione del 25 giugno 2009
http://liberostile.blogspot.com/2009_06_01_archive.html
sono rimasti ai loro posti.
Di lavoro.
E di potere.
silvia berruto, cooperatrice non per caso
Questa azione collettiva di resistenza civile nonviolenta è l'oggetto di uno studio critico (e autocritico) ancora in progress, essendo la sottoscritta l'autrice ma contemporaneamente anche una cooperatrice sociale coinvolta, anche se in funzione di osservatrice partecipante.
Il titolo (provvisorio) dello studio è "QUELL* DEL TDU. DISOBBEDIENZA E RESISTENZA CIVILE, anche NONVIOLENTA" Copyright Silvia Berruto
1 luglio 2009 - 1 luglio 2010
Oggi un anno fa finiva un'epoca ma la RESISTENZA CIVILE NONVIOLENTA di 78/89 lavoratrici e lavoratori di 4 cooperative sociali - tre appartenenti al consorzio - del Consorzio Trait d'Union (TDU) di Aosta, caratterizzava l'inizio di un'altra di ben più ampia consapevolezza collettiva nell'ambito del lavoro e della cooperazione sociali valdostane.
78 lavoratrici e lavoratori decisero negli ultimi giorni del giugno 2009, iniziando di fatto la loro resistenza proprio il 1 luglio 2009, di non passare alla PRO.GES che subentrava al TDU nella gestione del servizio di assistenza domiciliare, strutture per anziani, centri diurni, assistenza domiciliare di quartiere periodo 1.07.2009 - 31.12.2011
78 donne e uomini hanno testimoniato, con la loro scelta, e sulla loro pelle, ben più di un concetto, di una filosofia o di un credo ideologico.
Hanno testimoniato che il LAVORO non è UNA MERCE
che LE LAVORATRICI E I LAVORATORI non sono MERCE DI SCAMBIO
che c'è dignità nel dire di NO.
Nel NON ALLINEARSI.
A tutta la popolazione hanno insegnato che un modo diverso per un mondo diverso è possibile.
A loro va la riconoscenza e il tributo di tutte/tutti coloro che hanno compreso.
Ben al di là di quanto si poteva leggere sui giornali e della disinformàzia che regnava sovrana, o mercenaria, nella movìda e nell'opinione pubblica, aostane e valdostane, dell'estate 2009.
Amare ma lucide sono le valutazioni di oggi.
Alcune coincidenti a quelle di un anno fa. La differenza è che sono state confermate dalla storia.
Con buona pace di tutti coloro che,
pur avendo commesso errori, anche irreparabili,
si tratti dell'allora gruppo dirigente del TDU, del gruppo di lavoro preposto alla progettazione e alla consegna del progetto per l'appalto, del CDA del TDU o dell'ente appaltante, non udente e non controllante in modo serrato come invece era stato richiesto dalla base e da una parte della cittadinanza (più di 500 persone parteciparono alla manifestazione del 25 giugno 2009
http://liberostile.blogspot.com/2009_06_01_archive.html
sono rimasti ai loro posti.
Di lavoro.
E di potere.
silvia berruto, cooperatrice non per caso
Questa azione collettiva di resistenza civile nonviolenta è l'oggetto di uno studio critico (e autocritico) ancora in progress, essendo la sottoscritta l'autrice ma contemporaneamente anche una cooperatrice sociale coinvolta, anche se in funzione di osservatrice partecipante.
Il titolo (provvisorio) dello studio è "QUELL* DEL TDU. DISOBBEDIENZA E RESISTENZA CIVILE, anche NONVIOLENTA" Copyright Silvia Berruto