Peter Whitehead al Bellaria Film Festival 2008. Il regista britannico incontra il pubblico del BFF
"Peter Whitehead è una figura culto del documentario politico e musicale degli anni Sessanta. Ha filmato Allen Ginsberg e Ferlinghetti, Mick Jagger - un amico - e Syd Barrett - un fratello … I suoi film sono infatti materiali preziosi su un periodo ormai leggendario: gli anni Sessanta e la nascita della controcultura".
Così su Whitehead, prendendo a prestito una sintesi dalla quarta di copertina del prezioso volume e primo libro di critica cinematografica, anche una biografia sul cineasta, "Peter Whitehead. Cinema, musica, rivoluzione", a cura di Laura Buffoni e Cristina Piccino.
Al Bellaria Film Festival Peter, Whitehead si è raccontato con grande generosità, senza risparmiarsi, in più momenti: dalla sera dell'inaugurazione del festival, il 5 giugno, allo momento dedicato agli incontri con gli autori svoltosi domenica 8 giugno, di mattina, presso il club Pjazza, fino all'ultimo intervento nel corso della cerimonia di premiazione, domenica sera.
Nell'incontro col pubblico è stato chiesto a Peter Whitehead "Qual è il rapporto tra le immagini e la possibilità di cambiare la realtà?"
"Quando ho messo di fare cinema, alla fine degli anni Sessanta, l'ho fatto perché ritenevo che l'artista non potesse più essere efficace dal punto di vista politico. E penso che la situazione sia più o meno la stessa anche adesso. Il problema attuale è che la realtà è solo immagine, solo ed esclusivamente immagine. E c'è una passività imposta al mondo da questo insieme delle immagini. C'è quasi un fascismo dei media che va ad influenzare le persone fino nei loro sentimenti e forse, in un contesto come questo, l'unica forma d'arte che può cambiare il mondo, che può avere effetto sul mondo, è il terrorismo come racconto appunto nel mio ultimo film (Terrorism considered as one of the fine art) e come Osama Bin Laden ha mostrato con grande efficacia nel "suo" film.
Quando mi sono reso conto di non poter più avere effetto sul mondo come regista ho deciso di ritirarmi dalle scene e di lavorare su me stesso, di cambiare me stesso e di diventare una persona naturale per sfuggire appunto a questa logica opprimente della società e a questo fascismo dell'immagine."
Whitehead incalza con tono pacifico e misurato ma con determinazione quando esplicita i contenuti.
"Se pensate a quello che ho detto finora e lo paragonate alla situazione italiana, vi fate un'idea di quello che sto dicendo. Se parliamo di dominio dell'immagine e pensiamo a chi sta governando adesso l'Italia e proviamo a pensare alla parola fascismo probabilmente i conti tornano. Possiamo sottolineare, ancora una volta, questo terrorismo dell'immagine. Ma questo terrore che noi viviamo è veramente una paura di noi stessi, la paura di non poter stare al passo coi tempi, di perdere il contatto con questa realtà fatta di immagini. Abbiamo paura di non aver abbastanza soldi o abbastanza tempo per comperare le cose che ci vengono propinate o pubblicizzate o per vedere l'ultimo programma televisivo che i nostri amici dicono essere stupendo. E questa è in realtà la condizione di costante terrore in cui ci troviamo".
Fabio Bruschi, dal pubblico, domanda a Whitehead: "Un'altra caratteristica dell'epoca presente, insieme a quella della paura, e naturalmente tutto dominante, credo sia la cancellazione del tempo, della verticalità, per così dire, per cui noi oggi viviamo in una specie di land of the eternal present: non c'è passato, non c'è presente, non c'è futuro". Whitehead interrompe simpaticamente Bruschi per rispondere immediatamente alla domanda posta.
"La questione del tempo mi interessa davvero molto. Io credo nel concetto di tempo olografico, che è un concetto su cui ho basato il mio primo racconto e su cui sto basando il mio attuale film. Una visione del tempo come totalmente verticale che va a rimpiazzare l'inadeguatezza della concezione di tempo lineare che ci è stata imposta, per così dire, dalla tradizione monoteistica cristiana. Questo tempo lineare non è in grado di spiegare e di assecondare la nostra natura ed allora è qui che ci dobbiamo muovere verso una nuova concezione di tempo ciclico e dobbiamo essere capaci di liberarci dai ceppi della razionalità perché con la razionalità ci siamo resi contro di non essere in grado di spiegare la realtà in modo completo e l'espressione francese le complot contre la raison spiega".
Bruschi ribatte con una battuta su un tempo specifico: "Si parla di Sixties e in particolare si parla di Sixties a Londra. Siccome abbiamo un protagonista e quindi anche un testimone privilegiato voglio chiedere se non sia vero che i Sixties, almeno a Londra, siano partiti già nella seconda metà degli anni Cinquanta e con cosa se è vero?"
Whitehead: "Se vogliamo parlare di conflitti sociali, come il lato oscuro degli anni Sessanta, dobbiamo dire che effettivamente c'è una certa differenza fra i conflitti sociali nel Regno Unito e i conflitti sociali negli Stati Uniti. E allora, in questo senso, possiamo dire che effettivamente questi anni Sessanta sono iniziati a fine anni Cinquanta, come ha detto Lei. Se vogliamo prendere gli aspetti più caratteristici dell'Inghilterra degli anni Sessanta pensiamo al femminismo, a come le donne si fossero emancipate grazie alla pillola, grazie alle minigonne, ma in realtà questa cosa negli Stati Uniti o in Scandinavia era avvenuta quindici-vent'anni prima e vi posso assolutamente dire che le mie ragazze, in quegli anni, non erano certo inglesi ma erano più spesso americane o scandinave. E questo ha trovato un terreno fertile in Inghilterra perché ovviamente erano tutti messaggi che erano rivolti ai giovani e ai giovani chiaramente piace sempre divertirsi e quindi hanno risposto positivamente a questo tipo di messaggio. Ma la differenza tra il conflitto sociale nel Regno Unito e negli Stati Uniti è dettata dalle condizioni economiche. In realtà, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano estremamente ricchi mentre il Regno Unito era estremamente povero e questo ha dimostrato che LA GUERRA È IN REALTA UN BUSINNESS COLOSSALE che permette agli Stati Uniti di foraggiare ulteriori guerre per guadagnare ancora più soldi. Guardiamo cosa hanno fatto adesso hanno fondamentalmente finanziato uno come Bin Laden che poi ha fatto questo video meraviglioso che ha instillato ancor più terrore nelle persone e ha dato modo di finanziare e portare avanti ulteriori guerre."
Silvia Berruto
- continua -
Segnalazione
"Peter Whitehead. Cinema, musica, rivoluzione, (a cura di Laura Buffoni e Cristina Piccino), Roma, Derive Approdi,2008.
Così su Whitehead, prendendo a prestito una sintesi dalla quarta di copertina del prezioso volume e primo libro di critica cinematografica, anche una biografia sul cineasta, "Peter Whitehead. Cinema, musica, rivoluzione", a cura di Laura Buffoni e Cristina Piccino.
Al Bellaria Film Festival Peter, Whitehead si è raccontato con grande generosità, senza risparmiarsi, in più momenti: dalla sera dell'inaugurazione del festival, il 5 giugno, allo momento dedicato agli incontri con gli autori svoltosi domenica 8 giugno, di mattina, presso il club Pjazza, fino all'ultimo intervento nel corso della cerimonia di premiazione, domenica sera.
Nell'incontro col pubblico è stato chiesto a Peter Whitehead "Qual è il rapporto tra le immagini e la possibilità di cambiare la realtà?"
"Quando ho messo di fare cinema, alla fine degli anni Sessanta, l'ho fatto perché ritenevo che l'artista non potesse più essere efficace dal punto di vista politico. E penso che la situazione sia più o meno la stessa anche adesso. Il problema attuale è che la realtà è solo immagine, solo ed esclusivamente immagine. E c'è una passività imposta al mondo da questo insieme delle immagini. C'è quasi un fascismo dei media che va ad influenzare le persone fino nei loro sentimenti e forse, in un contesto come questo, l'unica forma d'arte che può cambiare il mondo, che può avere effetto sul mondo, è il terrorismo come racconto appunto nel mio ultimo film (Terrorism considered as one of the fine art) e come Osama Bin Laden ha mostrato con grande efficacia nel "suo" film.
Quando mi sono reso conto di non poter più avere effetto sul mondo come regista ho deciso di ritirarmi dalle scene e di lavorare su me stesso, di cambiare me stesso e di diventare una persona naturale per sfuggire appunto a questa logica opprimente della società e a questo fascismo dell'immagine."
Whitehead incalza con tono pacifico e misurato ma con determinazione quando esplicita i contenuti.
"Se pensate a quello che ho detto finora e lo paragonate alla situazione italiana, vi fate un'idea di quello che sto dicendo. Se parliamo di dominio dell'immagine e pensiamo a chi sta governando adesso l'Italia e proviamo a pensare alla parola fascismo probabilmente i conti tornano. Possiamo sottolineare, ancora una volta, questo terrorismo dell'immagine. Ma questo terrore che noi viviamo è veramente una paura di noi stessi, la paura di non poter stare al passo coi tempi, di perdere il contatto con questa realtà fatta di immagini. Abbiamo paura di non aver abbastanza soldi o abbastanza tempo per comperare le cose che ci vengono propinate o pubblicizzate o per vedere l'ultimo programma televisivo che i nostri amici dicono essere stupendo. E questa è in realtà la condizione di costante terrore in cui ci troviamo".
Fabio Bruschi, dal pubblico, domanda a Whitehead: "Un'altra caratteristica dell'epoca presente, insieme a quella della paura, e naturalmente tutto dominante, credo sia la cancellazione del tempo, della verticalità, per così dire, per cui noi oggi viviamo in una specie di land of the eternal present: non c'è passato, non c'è presente, non c'è futuro". Whitehead interrompe simpaticamente Bruschi per rispondere immediatamente alla domanda posta.
"La questione del tempo mi interessa davvero molto. Io credo nel concetto di tempo olografico, che è un concetto su cui ho basato il mio primo racconto e su cui sto basando il mio attuale film. Una visione del tempo come totalmente verticale che va a rimpiazzare l'inadeguatezza della concezione di tempo lineare che ci è stata imposta, per così dire, dalla tradizione monoteistica cristiana. Questo tempo lineare non è in grado di spiegare e di assecondare la nostra natura ed allora è qui che ci dobbiamo muovere verso una nuova concezione di tempo ciclico e dobbiamo essere capaci di liberarci dai ceppi della razionalità perché con la razionalità ci siamo resi contro di non essere in grado di spiegare la realtà in modo completo e l'espressione francese le complot contre la raison spiega".
Bruschi ribatte con una battuta su un tempo specifico: "Si parla di Sixties e in particolare si parla di Sixties a Londra. Siccome abbiamo un protagonista e quindi anche un testimone privilegiato voglio chiedere se non sia vero che i Sixties, almeno a Londra, siano partiti già nella seconda metà degli anni Cinquanta e con cosa se è vero?"
Whitehead: "Se vogliamo parlare di conflitti sociali, come il lato oscuro degli anni Sessanta, dobbiamo dire che effettivamente c'è una certa differenza fra i conflitti sociali nel Regno Unito e i conflitti sociali negli Stati Uniti. E allora, in questo senso, possiamo dire che effettivamente questi anni Sessanta sono iniziati a fine anni Cinquanta, come ha detto Lei. Se vogliamo prendere gli aspetti più caratteristici dell'Inghilterra degli anni Sessanta pensiamo al femminismo, a come le donne si fossero emancipate grazie alla pillola, grazie alle minigonne, ma in realtà questa cosa negli Stati Uniti o in Scandinavia era avvenuta quindici-vent'anni prima e vi posso assolutamente dire che le mie ragazze, in quegli anni, non erano certo inglesi ma erano più spesso americane o scandinave. E questo ha trovato un terreno fertile in Inghilterra perché ovviamente erano tutti messaggi che erano rivolti ai giovani e ai giovani chiaramente piace sempre divertirsi e quindi hanno risposto positivamente a questo tipo di messaggio. Ma la differenza tra il conflitto sociale nel Regno Unito e negli Stati Uniti è dettata dalle condizioni economiche. In realtà, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano estremamente ricchi mentre il Regno Unito era estremamente povero e questo ha dimostrato che LA GUERRA È IN REALTA UN BUSINNESS COLOSSALE che permette agli Stati Uniti di foraggiare ulteriori guerre per guadagnare ancora più soldi. Guardiamo cosa hanno fatto adesso hanno fondamentalmente finanziato uno come Bin Laden che poi ha fatto questo video meraviglioso che ha instillato ancor più terrore nelle persone e ha dato modo di finanziare e portare avanti ulteriori guerre."
Silvia Berruto
- continua -
Segnalazione
"Peter Whitehead. Cinema, musica, rivoluzione, (a cura di Laura Buffoni e Cristina Piccino), Roma, Derive Approdi,2008.
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