"I Viaggi perduti" del Manifesto ad Aosta. Conversazione con Luciano Del Sette e Simona Cagnasso
"Ho perso la reale portata emozionale di questa cosa a forza di sentire i testi e sentire le musiche. Quando le ho avute sul cd e le ho sentite insieme mi è venuto il groppo alla gola." dice Luciano Del Sette ad un certo punto della nostra conversazione. L'opera "I viaggi perduti" è preziosa. Non solo viene il groppo alla gola ma si può perfino piangere nel vedere le immagini del dvd e nel sentire i testi e le musiche del cd.
Luciano Del Sette e Simona Cagnasso con l'orchestra di Porta Palazzo di Torino presenteranno "I viaggi perduti" ad Aosta, all'Espace Populaire, il 30 novembre prossimo.
Ho incontrato Luciano Del Sette e Simona Cagnasso dopo la presentazione torinese de "I viaggi perduti" al café Liber.
Luciano Del Sette, inviato dal 1985 al 1987 e corrispondente dal Brasile per il Manifesto, scrive da venticinque anni sull'omonimo quotidiano.
Com'è nata l'idea de"I viaggi perduti?"
L'idea è nata per raccontare alla gente quello che uno non ricorda. Questi tredici paesi, che sono stati presi in considerazione, sono esattamente le geografie esemplificative di quello che succede in altre parti del mondo. Il Ruanda è La Sierra Leone, è, se vuoi, per accavallamento, la Bosnia col genocidio che è stato commesso: è tutto quello che viene, appunto, normalmente dimenticato. È un'operazione che ha da una parte la presa di coscienza e dall'altra soprattutto la conservazione della memoria e il tramandare il fatto che esiste comunque un mondo parallelo che tutti i giorni consuma delle tragedie che noi o ignoriamo oppure che non ci vengono trasmesse perché non sono interessanti. Credo che la cosa fondamentale sia, soprattutto per le generazioni nuove, la memoria.
C'è proprio un fatto fisico in queste geografie: l'Afghanistan non esiste più, non esisterà mai più. L'Iraq, che era la Mesopotamia, non esisterà mai più.
Se esistono degli insegnanti che hanno comprato questo cd lo portino nelle scuole a sentirlo. Non perché è del Manifesto ma perché è un cd ecumenico.
Le immagini, la musica, i testi … hanno un'emozionalità, al di là del contenuto, che è incredibile. Io ho pianto stasera… e te lo devo dire…
Brava si deve fare.
Che cosa puoi dirci sui materiali ricevuti da Fuori Orario?
Enrico Ghezzi quanto ha sentito di questo progetto si è detto immediatamente d'accordo. Abbiamo avuto tutti i materiali in una quindicina di giorni. Avevamo chiesto materiali non visti: il documento sui Talebani è, secondo me, bellissimo. Le cose più belle sono state "l'esercito di Haiti per il massacro, un documento assolutamente pazzesco e l'altro l'Iraq, con un incendio dopo un attentato. Il discorso è stato "abbiamo poco tempo a disposizione perché non vogliamo fare delle cose lunghe e lui (Ghezzi, ndr) ci ha dato del materiale incredibile, assolutamente consono a quello che noi volevamo … con grande sensibilità. E così anche Paolo Papo e Paolo Luciani, i due assistenti di Ghezzi che sono stati assolutamente disponibili. È stata un'operazione in cui, pur nelle grandi difficoltà, tutto è rientrato nel disegno di un progetto collettivo.
A Simona chiedo del montaggio.
Ci sono due cose fondamentali: il fatto tecnico che normalmente ti impone di avere almeno venti volte il materiale che poi utilizzi quando pianifichi un montaggio normale In un lavoro di questo tipo, in cui nulla è pianificato anticipatamente, in teoria dovresti guardare una quantità di materiale immenso e poi sceglierlo. Noi abbiamo lavorato essenzialmente su materiali che sapevamo di poter avere e che erano pochissimi. Alcuni di questi montaggi, che durano uno o due minuti, avevano sei minuti di materiale a disposizione. Per due o tre luoghi avevamo meno materiale disponibile della lunghezza del montaggio.
E quindi ?
Bisognava rispettare l'idea di un racconto aderente alla drammaticità dei fatti, l'idea di una verità che ci siamo proposti di mantenere con un'idea di montaggio, in realtà, poi, molto creativa. Per esempio per l'ultimo dei montaggi, quello sui Buddha di Bamyan, che dura due minuti, ho utilizzato circa venticinque secondi di montaggio: rallentamenti, fermo immagine, parti di immagini, cercando di sorreggere una scelta personale con un'idea molto precisa. Al problema tecnico della povertà di immagini si sovrappone poi il problema, direi morale, di dire "se posso raccontare racconto, ma se ho la sensazione di non poter raccontare, cosa faccio? Comunque è necessaria un'aderenza ai fatti. Se queste immagini non sono sufficienti per raccontare minimamente una storia lì c'è un problema che non ha fine perché potresti anche andare avanti tutta la vita ad interrogarti. Al che siamo arrivati ad un compromesso ragionevole. Il Manifesto è stato molto generoso e molto attento: quando mi mancavano immagini e quando non era più possibile avere altre immagini - e non c'è grande disponibilità a distribuire queste immagini questo è bene saperlo - abbiamo impiegato immagini fotografiche. Abbiamo cercato immagini e contattato fotografi che potessero avere già un approccio all'argomento personale, già approfondito e alla fine siamo arrivati al compromesso che si vede nel video.
Quali sono le fonti dei materiali video?
Rai tre l'archivio di "Fuori Orario" di Enrico Ghezzi, LA7, Radio For Peace che ci ha dato molti materiali sul Sahara e poi c'è stato il contributo molto bello, spontaneo della figlia di Volonté, che ci ha dato una delle riprese di Theo Angelopoulos (alcune sequenze inedite da Lo sguardo di Ulisse, ndr) .
Hai altri progetti con il Manifesto?
Si è parlato di tante cose. È un piacere lavorare con Il Manifesto. Aver lavorato col Manifesto in termini di libertà, e quando dico libertà non dico faccio tutto quello che voglio, come voglio quando voglio, cioè nei termini di esprimere un punto di vista, è stato unico. Unico.
Come è stato lavorare con la redazione del Manifesto?
La redazione del Manifesto ha ovviamente, di volta in volta, approvato o non approvato il nostro lavoro. Siamo andati avanti a step. Ho dato un'idea di massima e ho spiegato che cosa mi interessava: l'idea era di dare l'impatto emotivo della tragedia. Era impossibile andare nello specifico in due minuti. L'idea era che, dopo aver sentito le musiche e la parola, la gente si trovasse di fronte ad immagini con cui riconosceva una data realtà per il fatto di aver già visto quelle immagini in televisione, per il fatto di conoscerle e di riconoscerle. C'è il montaggio del ponte di Mostar in cui c'è un giudizio. È passato. Loro … (i giornalisti della redazione del manifesto, ndr) anzi sono stati entusiasti di questa cosa. Per chi lo guarda è molto forte, benché non si veda nulla di cruento e di forte: è passato. E stato un dialogo aperto come dovrebbe sempre essere nel lavoro. Sono molto contenta, molto soddisfatta.
Il 25 novembre prossimo "I viaggi perduti" saranno al M.E.I. (Meeting delle etichette indipendenti) di Faenza dove Luciano Del Sette interverrà al convegno "Migranti, briganti, passanti. Storie e sorprese dei nomadismi", il 10 dicembre saranno ospiti d'onore del giornata mondiale dei Diritti Umani a Carpi, il 12 dicembre a Roma alla libreria "Bibli" con Francesco Bruno e Canio Loguercio, il 16 dicembre a Pisa al Festival del Viaggio.
Silvia Berruto
Luciano Del Sette e Simona Cagnasso con l'orchestra di Porta Palazzo di Torino presenteranno "I viaggi perduti" ad Aosta, all'Espace Populaire, il 30 novembre prossimo.
Ho incontrato Luciano Del Sette e Simona Cagnasso dopo la presentazione torinese de "I viaggi perduti" al café Liber.
Luciano Del Sette, inviato dal 1985 al 1987 e corrispondente dal Brasile per il Manifesto, scrive da venticinque anni sull'omonimo quotidiano.
Com'è nata l'idea de"I viaggi perduti?"
L'idea è nata per raccontare alla gente quello che uno non ricorda. Questi tredici paesi, che sono stati presi in considerazione, sono esattamente le geografie esemplificative di quello che succede in altre parti del mondo. Il Ruanda è La Sierra Leone, è, se vuoi, per accavallamento, la Bosnia col genocidio che è stato commesso: è tutto quello che viene, appunto, normalmente dimenticato. È un'operazione che ha da una parte la presa di coscienza e dall'altra soprattutto la conservazione della memoria e il tramandare il fatto che esiste comunque un mondo parallelo che tutti i giorni consuma delle tragedie che noi o ignoriamo oppure che non ci vengono trasmesse perché non sono interessanti. Credo che la cosa fondamentale sia, soprattutto per le generazioni nuove, la memoria.
C'è proprio un fatto fisico in queste geografie: l'Afghanistan non esiste più, non esisterà mai più. L'Iraq, che era la Mesopotamia, non esisterà mai più.
Se esistono degli insegnanti che hanno comprato questo cd lo portino nelle scuole a sentirlo. Non perché è del Manifesto ma perché è un cd ecumenico.
Le immagini, la musica, i testi … hanno un'emozionalità, al di là del contenuto, che è incredibile. Io ho pianto stasera… e te lo devo dire…
Brava si deve fare.
Che cosa puoi dirci sui materiali ricevuti da Fuori Orario?
Enrico Ghezzi quanto ha sentito di questo progetto si è detto immediatamente d'accordo. Abbiamo avuto tutti i materiali in una quindicina di giorni. Avevamo chiesto materiali non visti: il documento sui Talebani è, secondo me, bellissimo. Le cose più belle sono state "l'esercito di Haiti per il massacro, un documento assolutamente pazzesco e l'altro l'Iraq, con un incendio dopo un attentato. Il discorso è stato "abbiamo poco tempo a disposizione perché non vogliamo fare delle cose lunghe e lui (Ghezzi, ndr) ci ha dato del materiale incredibile, assolutamente consono a quello che noi volevamo … con grande sensibilità. E così anche Paolo Papo e Paolo Luciani, i due assistenti di Ghezzi che sono stati assolutamente disponibili. È stata un'operazione in cui, pur nelle grandi difficoltà, tutto è rientrato nel disegno di un progetto collettivo.
A Simona chiedo del montaggio.
Ci sono due cose fondamentali: il fatto tecnico che normalmente ti impone di avere almeno venti volte il materiale che poi utilizzi quando pianifichi un montaggio normale In un lavoro di questo tipo, in cui nulla è pianificato anticipatamente, in teoria dovresti guardare una quantità di materiale immenso e poi sceglierlo. Noi abbiamo lavorato essenzialmente su materiali che sapevamo di poter avere e che erano pochissimi. Alcuni di questi montaggi, che durano uno o due minuti, avevano sei minuti di materiale a disposizione. Per due o tre luoghi avevamo meno materiale disponibile della lunghezza del montaggio.
E quindi ?
Bisognava rispettare l'idea di un racconto aderente alla drammaticità dei fatti, l'idea di una verità che ci siamo proposti di mantenere con un'idea di montaggio, in realtà, poi, molto creativa. Per esempio per l'ultimo dei montaggi, quello sui Buddha di Bamyan, che dura due minuti, ho utilizzato circa venticinque secondi di montaggio: rallentamenti, fermo immagine, parti di immagini, cercando di sorreggere una scelta personale con un'idea molto precisa. Al problema tecnico della povertà di immagini si sovrappone poi il problema, direi morale, di dire "se posso raccontare racconto, ma se ho la sensazione di non poter raccontare, cosa faccio? Comunque è necessaria un'aderenza ai fatti. Se queste immagini non sono sufficienti per raccontare minimamente una storia lì c'è un problema che non ha fine perché potresti anche andare avanti tutta la vita ad interrogarti. Al che siamo arrivati ad un compromesso ragionevole. Il Manifesto è stato molto generoso e molto attento: quando mi mancavano immagini e quando non era più possibile avere altre immagini - e non c'è grande disponibilità a distribuire queste immagini questo è bene saperlo - abbiamo impiegato immagini fotografiche. Abbiamo cercato immagini e contattato fotografi che potessero avere già un approccio all'argomento personale, già approfondito e alla fine siamo arrivati al compromesso che si vede nel video.
Quali sono le fonti dei materiali video?
Rai tre l'archivio di "Fuori Orario" di Enrico Ghezzi, LA7, Radio For Peace che ci ha dato molti materiali sul Sahara e poi c'è stato il contributo molto bello, spontaneo della figlia di Volonté, che ci ha dato una delle riprese di Theo Angelopoulos (alcune sequenze inedite da Lo sguardo di Ulisse, ndr) .
Hai altri progetti con il Manifesto?
Si è parlato di tante cose. È un piacere lavorare con Il Manifesto. Aver lavorato col Manifesto in termini di libertà, e quando dico libertà non dico faccio tutto quello che voglio, come voglio quando voglio, cioè nei termini di esprimere un punto di vista, è stato unico. Unico.
Come è stato lavorare con la redazione del Manifesto?
La redazione del Manifesto ha ovviamente, di volta in volta, approvato o non approvato il nostro lavoro. Siamo andati avanti a step. Ho dato un'idea di massima e ho spiegato che cosa mi interessava: l'idea era di dare l'impatto emotivo della tragedia. Era impossibile andare nello specifico in due minuti. L'idea era che, dopo aver sentito le musiche e la parola, la gente si trovasse di fronte ad immagini con cui riconosceva una data realtà per il fatto di aver già visto quelle immagini in televisione, per il fatto di conoscerle e di riconoscerle. C'è il montaggio del ponte di Mostar in cui c'è un giudizio. È passato. Loro … (i giornalisti della redazione del manifesto, ndr) anzi sono stati entusiasti di questa cosa. Per chi lo guarda è molto forte, benché non si veda nulla di cruento e di forte: è passato. E stato un dialogo aperto come dovrebbe sempre essere nel lavoro. Sono molto contenta, molto soddisfatta.
Il 25 novembre prossimo "I viaggi perduti" saranno al M.E.I. (Meeting delle etichette indipendenti) di Faenza dove Luciano Del Sette interverrà al convegno "Migranti, briganti, passanti. Storie e sorprese dei nomadismi", il 10 dicembre saranno ospiti d'onore del giornata mondiale dei Diritti Umani a Carpi, il 12 dicembre a Roma alla libreria "Bibli" con Francesco Bruno e Canio Loguercio, il 16 dicembre a Pisa al Festival del Viaggio.
Silvia Berruto
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