"Perché la giustizia funzioni è necessario che cambi la relazione tra i cittadini e le regole". Secondo l'ex-magistrato Gherardo Colombo
"Se pensiamo che sarebbe una bella cosa che esistesse giustizia in Italia, se pensiamo così credo che ciascuno di noi ha un compito che è quello di fare in modo che sia così, (che è quello) di fare in modo che sia così guardando a se stesso. Non è che possiamo lamentarci degli altri quando siamo inadempienti noi. E tutte le volte che coerentemente applichiamo quel modo di stare insieme, noi, da una parte, facciamo la nostra parte, dall'altra magari diamo una testimonianza e facciamo vedere che si può fare e dall'altra ancora, allora sì, siamo in grado di poter chiedere agli altri il rispetto delle stesse regole. E allora si tratta di un impegno personale che riguarda se stessi in primo luogo e che è quello che può dare poi una legittimazione a chiedere anche agli altri. Quindi se vogliamo vivere in un modo più decente rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare".
Così l'ex-magistrato della Procura di Milano Gherardo Colombo ha chiuso quella che più che una conferenza è stata una vera e propria orazione, nell'accezione propria della retorica classica, con una intensa perorazione in favore del rispetto delle leggi, pronunciata all'Espace Populaire lo scorso 9 gennaio.
Gherardo Colombo ha spiegato le ragioni delle sue dimissioni dalla Magistratura, dopo trentatre anni e qualche mese di lavoro nel 2007, attraverso un excursus mirato a ricostruire e a giustificare l'esistenza delle leggi, asserendo che "È necessario che cambi la relazione tra i cittadini e le regole" perché la giustizia funzioni. "Il nostro Codice Penale, continua il magistrato, risale agli inizi degli anni Trenta. Tante norme sono state cambiate però l'impianto generale è ancora l'impianto del codice fascista. Il codice di Procedura Penale è stato cambiato completamente: è stato sostituito nel 1989. Nel frattempo, da allora ad oggi, sono state modificate tante di quelle disposizioni che non è più un sistema e non consente di concludere i processi in modo rapido". Queste sono responsabilità del Parlamento, precisa Colombo, cui spetta il compito di fare le leggi. Poi mancano e sono insufficienti i mezzi, responsabilità questa del governo che dà i mezzi e che destina i fondi a disposizione della collettività. Esistono "immensi" problemi di organizzazione: gli uffici giudiziari, nella stragrande maggioranza dei casi, "sono poco e spesso mal organizzati. E questa è responsabilità dei magistrati perché sono i magistrati che, attraverso il Csm, nominano i dirigenti degli uffici e sono poi i magistrati che dirigono gli uffici. Siamo indietro con la preparazione professionale, l'aggiornamento professionale dei magistrati, di chi lavora nelle cancellerie, degli avvocati. E questa è responsabilità un po' di tutti: responsabilità dei soldi che mancano, dei magistrati, degli avvocati e via dicendo".
Colombo è convinto che tutte queste responsabilità siano la conseguenza di una responsabilità più diffusa dei cittadini che "hanno un rapporto così sofferto, così problematico, così difficile con le regole" per cui accade più spesso che essi le violino piuttosto che se ne avvalgano. Il magistrato si è chiesto il perché di una tendenza così forte verso l'evasione delle regole, "Come mai esiste questo rapporto così sofferto, così contraddittorio, di disamore, anzi di contrapposizione, tra i cittadini italiani e le regole. La mia convinzione personale è che il rapporto è di questo genere perché non si comprende, non si guarda, non si mette dentro qual è il senso delle regole e perché, in conseguenza, vadano rispettate". E allora la decisione del magistrato di dimettersi, è stata determinata dall'esigenza personale di dedicarsi ad andare in giro a spiegare alla gente il perché delle regole.
Per cercare di produrre "un perché delle regole" Colombo è partito da lontano, dall'osservazione, bio-antropologica, di come ognuno di noi è fatto. Ognuno di noi è caratterizzato, tra le altre cose, da una serie di limiti: di tempo, cronologico e antropologico, dai bisogni primari e non, dall'esigenza di verifica continua della nostra conoscenza sperimentale."Si tratta di esigenze che noi possiamo soddisfare meglio, o in via esclusiva, vivendo insieme agli altri. Organizzando il lavoro ci si possono suddividere i compiti e si riescono a fare delle cose che sarebbero impensabili per una persona che vive da sola, l'affetto si può scambiare la conoscenza si può verificare soltanto stando insieme agli altri. Vivere insieme è uno strumento che ci consente di stare bene. E non si può vivere insieme senza applicare regole. Non perché l'abbia detto qualcuno, ma perché è, direi quasi fisicamente impossibile". Molti, secondo Colombo, credono che questa affermazione non sia vera perché hanno perso la memoria del fatto che essi applicano, così consuetudinariamente talmente tante regole, che non sembra loro nemmeno più che siano regole. Se si constata che la società è uno strumento che serve a farci vivere meglio, la conseguenza dovrebbe essere che, siccome non si può vivere in società senza regole, allora anche le regole ci fanno vivere meglio, anche se non è sempre così. Due gli esempi citati da Colombo: il fenomeno, non così remoto, della schiavitù che faceva vivere male gli schiavi, e le leggi razziali, emanate in Italia nel 1938, che hanno discriminato, togliendo diritti che prima avevano, gli appartenenti di una determinata etnia. Quindi non sempre la società è uno strumento che serve per far vivere meglio tutti coloro che ne fanno parte, perché essa può essere organizzata dalle regole in tantissimi modi diversi i quali sono compresi in un range compreso fra due estremi: "un estremo vede la società organizzata in un modo in cui i diritti e i doveri, le possibilità e i carichi, quello che si può fare e quello che si deve fare, sono distribuiti in un modo disuguale. Dall'altra parte la società è organizzata in modo che i diritti e i doveri siano distribuiti in modo uguale. Cosa ci sta dietro, cosa ci sta prima, perché ci si determina ad organizzare la società in un modo piuttosto che in un altro. Io credo perché si ha un senso diverso della giustizia che dipende dal modo di concepire l'esistenza, dal pensiero filosofico che una persona ha riguardo alla promozione del genere umano, all'evoluzione, a come si va avanti. C'è chi ritiene che l'umanità vada avanti attraverso una selezione della specie di tipo animale per cui vanno avanti i forti, i potenti, i furbi, gli intelligenti, quelli che riescono ad arrangiarsi. Quelli che, invece, sono deboli, diversi, che non si adattano e così via, possono essere scartati o vanno utilizzati sotto quelli che invece sono destinati ad andare avanti. In questa concezione, che è una concezione che alla fin fine ha dominato il mondo quasi sempre, la persona è considerata uno strumento perché se essa è in grado di andare avanti bene sennò diventa uno strumento che può essere anche eliminato". Secondo una concezione della società la persona è uno strumento secondo l'altra concezione la persona invece ha un valore in sé. E allora l'umanità si promuove soltanto attraverso la promozione di tutti coloro che ne fanno parte.
Per cui chi ritiene che sia giusto essere in una gerarchia si riferisce alla giustizia gerarchica, alla giustizia della disuguaglianza e chi ritiene che sia giusto, invece, che non esistano gerarchie, che le persone siano tutte titolari di diritti fondamentali e in conseguenza tutte uguali di fronte alla legge si
riferiscono alla giustizia perequativa.
"E allora perché possa funzionare la giustizia è necessario fare una scelta. Come si fa allora a scegliere? C'è qualcosa che ci aiuta in questa scelta? Perché io partirei proprio da qui per cercare di identificare di individuare un modo, un sistema, qualche cosa attraverso la quale indirizzarsi verso una giustizia della società di persone che hanno tutti i diritti e tutti i doveri allo stesso modo piuttosto che all'altra. Io credo che valga la pena di chiedersi perché la nostra Costituzione è fatta in un certo modo." […] La nostra costituzione è fondata proprio su quel senso di giustizia secondo cui ogni persona è un valore, e quindi ogni persona è titolare di diritti fondamentali, i quali vanno tutelati dalle istituzioni e quindi dalla collettività. Ogni persona è uguale agli altri di fronte alla legge e non può essere discriminata da quelle sue peculiarità personali che possono riguardare il sesso, la razza, la religione, le idee politiche, le condizioni sociali".
"Oggi la mancata osservanza di queste regole, che sono le nostre leggi, ci porta ad un'ingiustizia non soltanto alla cattiva amministrazione della giustizia ma ci porta all'ingiustizia e quindi alla difficile vivibilità della società.
Tutto questo poi deve essere applicato. E allora per poter vivere in una società che ci fa vivere meglio, sostiene Colombo, è necessario che ciascuno di noi sia protagonista di se stesso. È necessario in primo luogo avere le idee chiare ed è necessaria la coerenza che è forse la cosa più difficile.
Silvia Berruto
Così l'ex-magistrato della Procura di Milano Gherardo Colombo ha chiuso quella che più che una conferenza è stata una vera e propria orazione, nell'accezione propria della retorica classica, con una intensa perorazione in favore del rispetto delle leggi, pronunciata all'Espace Populaire lo scorso 9 gennaio.
Gherardo Colombo ha spiegato le ragioni delle sue dimissioni dalla Magistratura, dopo trentatre anni e qualche mese di lavoro nel 2007, attraverso un excursus mirato a ricostruire e a giustificare l'esistenza delle leggi, asserendo che "È necessario che cambi la relazione tra i cittadini e le regole" perché la giustizia funzioni. "Il nostro Codice Penale, continua il magistrato, risale agli inizi degli anni Trenta. Tante norme sono state cambiate però l'impianto generale è ancora l'impianto del codice fascista. Il codice di Procedura Penale è stato cambiato completamente: è stato sostituito nel 1989. Nel frattempo, da allora ad oggi, sono state modificate tante di quelle disposizioni che non è più un sistema e non consente di concludere i processi in modo rapido". Queste sono responsabilità del Parlamento, precisa Colombo, cui spetta il compito di fare le leggi. Poi mancano e sono insufficienti i mezzi, responsabilità questa del governo che dà i mezzi e che destina i fondi a disposizione della collettività. Esistono "immensi" problemi di organizzazione: gli uffici giudiziari, nella stragrande maggioranza dei casi, "sono poco e spesso mal organizzati. E questa è responsabilità dei magistrati perché sono i magistrati che, attraverso il Csm, nominano i dirigenti degli uffici e sono poi i magistrati che dirigono gli uffici. Siamo indietro con la preparazione professionale, l'aggiornamento professionale dei magistrati, di chi lavora nelle cancellerie, degli avvocati. E questa è responsabilità un po' di tutti: responsabilità dei soldi che mancano, dei magistrati, degli avvocati e via dicendo".
Colombo è convinto che tutte queste responsabilità siano la conseguenza di una responsabilità più diffusa dei cittadini che "hanno un rapporto così sofferto, così problematico, così difficile con le regole" per cui accade più spesso che essi le violino piuttosto che se ne avvalgano. Il magistrato si è chiesto il perché di una tendenza così forte verso l'evasione delle regole, "Come mai esiste questo rapporto così sofferto, così contraddittorio, di disamore, anzi di contrapposizione, tra i cittadini italiani e le regole. La mia convinzione personale è che il rapporto è di questo genere perché non si comprende, non si guarda, non si mette dentro qual è il senso delle regole e perché, in conseguenza, vadano rispettate". E allora la decisione del magistrato di dimettersi, è stata determinata dall'esigenza personale di dedicarsi ad andare in giro a spiegare alla gente il perché delle regole.
Per cercare di produrre "un perché delle regole" Colombo è partito da lontano, dall'osservazione, bio-antropologica, di come ognuno di noi è fatto. Ognuno di noi è caratterizzato, tra le altre cose, da una serie di limiti: di tempo, cronologico e antropologico, dai bisogni primari e non, dall'esigenza di verifica continua della nostra conoscenza sperimentale."Si tratta di esigenze che noi possiamo soddisfare meglio, o in via esclusiva, vivendo insieme agli altri. Organizzando il lavoro ci si possono suddividere i compiti e si riescono a fare delle cose che sarebbero impensabili per una persona che vive da sola, l'affetto si può scambiare la conoscenza si può verificare soltanto stando insieme agli altri. Vivere insieme è uno strumento che ci consente di stare bene. E non si può vivere insieme senza applicare regole. Non perché l'abbia detto qualcuno, ma perché è, direi quasi fisicamente impossibile". Molti, secondo Colombo, credono che questa affermazione non sia vera perché hanno perso la memoria del fatto che essi applicano, così consuetudinariamente talmente tante regole, che non sembra loro nemmeno più che siano regole. Se si constata che la società è uno strumento che serve a farci vivere meglio, la conseguenza dovrebbe essere che, siccome non si può vivere in società senza regole, allora anche le regole ci fanno vivere meglio, anche se non è sempre così. Due gli esempi citati da Colombo: il fenomeno, non così remoto, della schiavitù che faceva vivere male gli schiavi, e le leggi razziali, emanate in Italia nel 1938, che hanno discriminato, togliendo diritti che prima avevano, gli appartenenti di una determinata etnia. Quindi non sempre la società è uno strumento che serve per far vivere meglio tutti coloro che ne fanno parte, perché essa può essere organizzata dalle regole in tantissimi modi diversi i quali sono compresi in un range compreso fra due estremi: "un estremo vede la società organizzata in un modo in cui i diritti e i doveri, le possibilità e i carichi, quello che si può fare e quello che si deve fare, sono distribuiti in un modo disuguale. Dall'altra parte la società è organizzata in modo che i diritti e i doveri siano distribuiti in modo uguale. Cosa ci sta dietro, cosa ci sta prima, perché ci si determina ad organizzare la società in un modo piuttosto che in un altro. Io credo perché si ha un senso diverso della giustizia che dipende dal modo di concepire l'esistenza, dal pensiero filosofico che una persona ha riguardo alla promozione del genere umano, all'evoluzione, a come si va avanti. C'è chi ritiene che l'umanità vada avanti attraverso una selezione della specie di tipo animale per cui vanno avanti i forti, i potenti, i furbi, gli intelligenti, quelli che riescono ad arrangiarsi. Quelli che, invece, sono deboli, diversi, che non si adattano e così via, possono essere scartati o vanno utilizzati sotto quelli che invece sono destinati ad andare avanti. In questa concezione, che è una concezione che alla fin fine ha dominato il mondo quasi sempre, la persona è considerata uno strumento perché se essa è in grado di andare avanti bene sennò diventa uno strumento che può essere anche eliminato". Secondo una concezione della società la persona è uno strumento secondo l'altra concezione la persona invece ha un valore in sé. E allora l'umanità si promuove soltanto attraverso la promozione di tutti coloro che ne fanno parte.
Per cui chi ritiene che sia giusto essere in una gerarchia si riferisce alla giustizia gerarchica, alla giustizia della disuguaglianza e chi ritiene che sia giusto, invece, che non esistano gerarchie, che le persone siano tutte titolari di diritti fondamentali e in conseguenza tutte uguali di fronte alla legge si
riferiscono alla giustizia perequativa.
"E allora perché possa funzionare la giustizia è necessario fare una scelta. Come si fa allora a scegliere? C'è qualcosa che ci aiuta in questa scelta? Perché io partirei proprio da qui per cercare di identificare di individuare un modo, un sistema, qualche cosa attraverso la quale indirizzarsi verso una giustizia della società di persone che hanno tutti i diritti e tutti i doveri allo stesso modo piuttosto che all'altra. Io credo che valga la pena di chiedersi perché la nostra Costituzione è fatta in un certo modo." […] La nostra costituzione è fondata proprio su quel senso di giustizia secondo cui ogni persona è un valore, e quindi ogni persona è titolare di diritti fondamentali, i quali vanno tutelati dalle istituzioni e quindi dalla collettività. Ogni persona è uguale agli altri di fronte alla legge e non può essere discriminata da quelle sue peculiarità personali che possono riguardare il sesso, la razza, la religione, le idee politiche, le condizioni sociali".
"Oggi la mancata osservanza di queste regole, che sono le nostre leggi, ci porta ad un'ingiustizia non soltanto alla cattiva amministrazione della giustizia ma ci porta all'ingiustizia e quindi alla difficile vivibilità della società.
Tutto questo poi deve essere applicato. E allora per poter vivere in una società che ci fa vivere meglio, sostiene Colombo, è necessario che ciascuno di noi sia protagonista di se stesso. È necessario in primo luogo avere le idee chiare ed è necessaria la coerenza che è forse la cosa più difficile.
Silvia Berruto
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