23 gennaio 2007

Per un’etica della memoria.I ricordi collettivi e il potere terapeutico del conoscere la verità

I ricordi collettivi e il potere terapeutico del conoscere la verità. Questo è l’interesse dichiarato da Avishai Margalit, autore del saggio “L’etica della memoria”, pubblicato dai tipi de Il Mulino (Intersezioni).
A ridosso delle celebrazioni che riempiono il “Giorno della memoria”, purtroppo senza colmarne i molteplici vuoti ancora esistenti, la riflessione su etica e memoria si fa pressante e la necessità di confrontarsi con entrambe diviene urgente.
Il vuoto più rilevante è rappresentato, a mio avviso, da quello che definirei uno stanco ricordare perché non ancora realmente collettivo, connotato dall'impossibilità e dall'incapacità del ricordare insieme che non è ancora possibile e che, comunque, ancora non si fa. Non si produce, in quanto non esiste ancora e fatica a nascere, quella che potremmo davvero dire memoria collettiva e che dovrebbe contenere associate tutte le memorie collettive particolari. Allora quell'interesse si rivela, come non mai, motivo imprescindibile, e direi quantomai necessario, di riflessione per poter agire il superamento di quel costruzionismo, duro a morire, che ha prodotto i concetti nefasti di "categorie" dei deportati dal regime nazifascista, anch'esse dure a morire.
Il tema del libro è l'etica della memoria, il punto di partenza è l'interrogativo sull'esistenza di un'etica della memoria. Dalla microetica, che attiene alla dimensione individuale sino alla macroetica che è propria della collettività, si snoda l'investigare dell'autore, frastagliato da un complesso corpus di interrogativi. "[…] Siamo tenuti a ricordare le persone e gli eventi del passato? Se lo siamo, qual è la natura di questo dovere? Il ricordare e il dimenticare sono oggetti appropriati della lode e del biasimo morale? Chi è il noi che può essere tenuto a ricordare: il noi collettivo, o un qualche senso distributivo del noi che assegna l'obbligo di ricordare a ciascun singolo membro della collettività?".
La conclusione dell'autore non è confortante: sebbene sia data un'etica della memoria in essa "c'è ben poca moralità". La distinzione fra etica e morale è d'uopo e si impone, l'excursus che ne fa Margalit (risulta) convincente. Nella concezione di Margalit la distinzione fra etica e morale si fonda su un'ulteriore distinzione fra due tipi di rapporti umani che egli definisce "relazioni spesse e relazioni profonde". Su alcuni aspetti di esse si fonderebbe l'interesse primario sia dell'etica sia della morale. "Poiché comprende l'umanità tutta, la morale è ampia quanto a geografia e breve quanto a memoria. L'etica è tipicamente circoscritta dal punto di vista geografico e di memoria lunga". Margalit confina la memoria prevalentemente all'etica anche se in alcuni casi la morale dovrebbe occuparsi della memoria, ad esempio di fronte ai crimini contro l'umanità che rappresentano un attacco all'idea stessa di umanità condivisa."I crimini nazisti, perpetrati da un'ideologia che negava la nostra umanità condivisa, sono esempi lampanti di ciò che la morale ci richiede di ricordare. Tuttavia l'umanità non è una comunità di memoria. Un giorno potrà diventare tale, ma oggi, nei fatti - e si tratta di fatti significativi - non lo è. Così chi è che dovrebbe farsi carico della memoria morale per conto dell'umanità nel suo insieme?"
Emblematico, paradigmatico e quanto mai attuale il saggio è, per me, complessivamente riducibile ad un intrigante e necessario koan.
Domandiamoci senza fine, sempre con onestà intellettuale, se ci sono cose che abbiamo il dovere di ricordare, consapevoli, con Margalit, che "Un'etica della memoria è un'etica dell'oblio tanto quanto un'etica del ricordo. La questione cruciale, ossia se ci siano cose che dovremmo ricordare, ne ha una parallela, ossia se ci siano cose che dovremmo dimenticare."


Silvia Berruto