Fronte Iraq
Diario di una guerra permanente. Di Giuliana Sgrena.
"Il fronte Iraq" è un libro prezioso, imperdibile.
A "Diario: sotto il cielo di Baghdad", che è il diario di Giuliana a Baghdad dal marzo all'aprile 2003, seguono sette approfondimenti monografici: "Guerra infinita", "Truppe d'appalto", "Italie", Resistenza e terrorismo", "Il potere dei mullah", "Balcanizzazione", Sovranità limitata".
Le analisi di Giuliana sono lucide e dettagliate. Sin dall'introduzione si delineano previsioni che si sono confermate in seguito.
"La guerra dopo il primo maggio 2003 non è più convenzionale, si è trasformata in guerriglia, e ha fatto la sua comparsa il terrorismo" connotato dal fenomeno dei kamikaze, forma di lotta che non è propria della tradizione irachena ma è che è stata importata da questa guerra.
"Un altro risultato della guerra preventiva: portare il terrorismo anche dove non c'era".
Bush aveva giustificato la guerra all'Iraq con la pericolosità di Saddam, attribuita alla disponibilità delle armi di distruzioni di massa e ai suoi presunti, perché mai verificati, legami col terrorismo di Al Qaeda. "La situazione di caos e di anarchia provocata dalla guerra e dall'occupazione, la mancanza di controllo alle frontiere, l'assenza di leggi, gli scarsi mezzi a disposizione della polizia, hanno poi creato un terreno favorevole al diffondersi del terrorismo. Un terrorismo che la popolazione irachena, pur ostile all'occupazione, rifiuta, sostenendo che gli autori sono «stranieri» e probabilmente alcuni di loro lo sono".
La situazione sotto occupazione è descritta dalla giornalista con consapevole laconicità. La sicurezza, problema prioritario, è strettamente correlato alla ricostruzione. Ma poiché "Le condizioni di vita sono peggiorate anche rispetto ai tempi dell'embargo: "soprusi e privazioni alimentano l'ostilità nei confronti degli occupanti, che si manifesta con la lotta armata o semplicemente con la resistenza passiva". Giuliana, per esattezza, parla di resistenze.
La resistenza all'occupazione si è sviluppata secondo vari livelli: nella popolazione l'ostilità verso gli occupanti è cresciuta in misura direttamente proporzionale alla diminuzione delle aspettative di un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. La resistenza si sviluppa in un contesto di non rispetto dei diritti, della cultura e delle tradizioni della popolazione in cui gli occupanti "hanno imposto la loro presenza con soprusi, saccheggi e violenze di ogni tipo". Accanto alle prime azioni di resistenza armata si è sviluppata una resistenza passiva che poteva diventare, in ogni momento, attiva e "che comunque si manifesta attraverso una complicità che permette ai cosiddetti ribelli di muoversi su un terreno a loro favorevole".
Non è piaciuto alle destre il riconoscimento dell'esistenza di una resistenza in Iraq. In Italia si sono esplorati, in una diatriba culturalmente povera, i meandri più oscuri della dietrologia applicata sino a evocare la linguistica specializzata per determinare se fosse legittimo o meno parlare di resistenza: in un opprimente vuoto politico e ideologico e in una evidente dimensione antistorica.
Alla fine dell'introduzione la Sgrena afferma: "Una radicalizzazione dello scontro influirà pesantemente sul futuro del paese, la prima ad essere sacrificata, insieme al nazionalismo degli arabi, sarà la laicità dello stato, già minata dalle richieste di legge islamica dei vari leader sciiti e dai tentativi di annullare il Codice della famiglia, considerato uno dei più progressivi del mondo arabo-islamico".
Giuliana Sgrena ha sempre scritto dal basso, raccontando la quotidianità delle guerre dal punto di vista e di vita (sempre in pericolo) delle vittime. La percentuale di vittime in questa guerra è raddoppiata rispetto alla prima guerra del Golfo "sconfessando la teoria che le armi ad alta precisione risparmierebbero i civili". Le vittime irachene della guerra sono cento volte superiori a quelle americane. "Gli effetti più devastanti sono stati quelli prodotti dalle cluster bomb (bombe a frammentazione). Oltre 1000 civili sono stati uccisi o feriti da cluster bomb usate dalle truppe anglo-americane tra marzo e aprile 2003, secondo un rapporto di "Human rights watch". "In un solo giorno, il 31 marzo, 33 civili sono stati uccisi e 109 feriti. Come ho potuto verificare visitando l'ospedale di Hilla, l'antica Babilonia, la maggior parte erano donne, bambini e anziani (il manifesto, 3 aprile 2003)".
"E non si sono ancora visti gli effetti dell'uso di sostanze quali l'uranio impoverito nelle bombe a perforazione, usate per colpire edifici e anche carri armati abbandonati per le strade di Baghdad e diventati luogo di gioco per ignari bambini".
Nel mondo con milioni di pacifisti e di amici della nonviolenza ci siamo domandati "perché un'altra guerra?". Giuliana porta una testimonianza dura su questo.
"Perché ? Lo leggiamo negli occhi delle persone che ci guardano impotenti. Perché? Ce lo chiediamo anche noi e tutte le risposte razionali - petrolio, il dittatore Saddam, strategia da grande potenza … - non bastano a colmare quello smarrimento. Che ci mette a disagio. Forse se ci odiassero, se fossero aggressivi nei nostri confronti sarebbe più facile affrontarli. Invece no, sono gentili ma non servili, orgogliosi ma non arroganti, siamo noi gli incivili di fronte alla loro civilizzazione nata dalla Mesopotamia, seimila anni fa, che ha lasciato tracce indelebili nella storia dell'umanità. Chi sgancerà le bombe non li guarderà negli occhi e avrà la risposta pronta: la guerra serve ad abbattere un dittatore."
Dedicato a Giuliana.
A "Diario: sotto il cielo di Baghdad", che è il diario di Giuliana a Baghdad dal marzo all'aprile 2003, seguono sette approfondimenti monografici: "Guerra infinita", "Truppe d'appalto", "Italie", Resistenza e terrorismo", "Il potere dei mullah", "Balcanizzazione", Sovranità limitata".
Le analisi di Giuliana sono lucide e dettagliate. Sin dall'introduzione si delineano previsioni che si sono confermate in seguito.
"La guerra dopo il primo maggio 2003 non è più convenzionale, si è trasformata in guerriglia, e ha fatto la sua comparsa il terrorismo" connotato dal fenomeno dei kamikaze, forma di lotta che non è propria della tradizione irachena ma è che è stata importata da questa guerra.
"Un altro risultato della guerra preventiva: portare il terrorismo anche dove non c'era".
Bush aveva giustificato la guerra all'Iraq con la pericolosità di Saddam, attribuita alla disponibilità delle armi di distruzioni di massa e ai suoi presunti, perché mai verificati, legami col terrorismo di Al Qaeda. "La situazione di caos e di anarchia provocata dalla guerra e dall'occupazione, la mancanza di controllo alle frontiere, l'assenza di leggi, gli scarsi mezzi a disposizione della polizia, hanno poi creato un terreno favorevole al diffondersi del terrorismo. Un terrorismo che la popolazione irachena, pur ostile all'occupazione, rifiuta, sostenendo che gli autori sono «stranieri» e probabilmente alcuni di loro lo sono".
La situazione sotto occupazione è descritta dalla giornalista con consapevole laconicità. La sicurezza, problema prioritario, è strettamente correlato alla ricostruzione. Ma poiché "Le condizioni di vita sono peggiorate anche rispetto ai tempi dell'embargo: "soprusi e privazioni alimentano l'ostilità nei confronti degli occupanti, che si manifesta con la lotta armata o semplicemente con la resistenza passiva". Giuliana, per esattezza, parla di resistenze.
La resistenza all'occupazione si è sviluppata secondo vari livelli: nella popolazione l'ostilità verso gli occupanti è cresciuta in misura direttamente proporzionale alla diminuzione delle aspettative di un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. La resistenza si sviluppa in un contesto di non rispetto dei diritti, della cultura e delle tradizioni della popolazione in cui gli occupanti "hanno imposto la loro presenza con soprusi, saccheggi e violenze di ogni tipo". Accanto alle prime azioni di resistenza armata si è sviluppata una resistenza passiva che poteva diventare, in ogni momento, attiva e "che comunque si manifesta attraverso una complicità che permette ai cosiddetti ribelli di muoversi su un terreno a loro favorevole".
Non è piaciuto alle destre il riconoscimento dell'esistenza di una resistenza in Iraq. In Italia si sono esplorati, in una diatriba culturalmente povera, i meandri più oscuri della dietrologia applicata sino a evocare la linguistica specializzata per determinare se fosse legittimo o meno parlare di resistenza: in un opprimente vuoto politico e ideologico e in una evidente dimensione antistorica.
Alla fine dell'introduzione la Sgrena afferma: "Una radicalizzazione dello scontro influirà pesantemente sul futuro del paese, la prima ad essere sacrificata, insieme al nazionalismo degli arabi, sarà la laicità dello stato, già minata dalle richieste di legge islamica dei vari leader sciiti e dai tentativi di annullare il Codice della famiglia, considerato uno dei più progressivi del mondo arabo-islamico".
Giuliana Sgrena ha sempre scritto dal basso, raccontando la quotidianità delle guerre dal punto di vista e di vita (sempre in pericolo) delle vittime. La percentuale di vittime in questa guerra è raddoppiata rispetto alla prima guerra del Golfo "sconfessando la teoria che le armi ad alta precisione risparmierebbero i civili". Le vittime irachene della guerra sono cento volte superiori a quelle americane. "Gli effetti più devastanti sono stati quelli prodotti dalle cluster bomb (bombe a frammentazione). Oltre 1000 civili sono stati uccisi o feriti da cluster bomb usate dalle truppe anglo-americane tra marzo e aprile 2003, secondo un rapporto di "Human rights watch". "In un solo giorno, il 31 marzo, 33 civili sono stati uccisi e 109 feriti. Come ho potuto verificare visitando l'ospedale di Hilla, l'antica Babilonia, la maggior parte erano donne, bambini e anziani (il manifesto, 3 aprile 2003)".
"E non si sono ancora visti gli effetti dell'uso di sostanze quali l'uranio impoverito nelle bombe a perforazione, usate per colpire edifici e anche carri armati abbandonati per le strade di Baghdad e diventati luogo di gioco per ignari bambini".
Nel mondo con milioni di pacifisti e di amici della nonviolenza ci siamo domandati "perché un'altra guerra?". Giuliana porta una testimonianza dura su questo.
"Perché ? Lo leggiamo negli occhi delle persone che ci guardano impotenti. Perché? Ce lo chiediamo anche noi e tutte le risposte razionali - petrolio, il dittatore Saddam, strategia da grande potenza … - non bastano a colmare quello smarrimento. Che ci mette a disagio. Forse se ci odiassero, se fossero aggressivi nei nostri confronti sarebbe più facile affrontarli. Invece no, sono gentili ma non servili, orgogliosi ma non arroganti, siamo noi gli incivili di fronte alla loro civilizzazione nata dalla Mesopotamia, seimila anni fa, che ha lasciato tracce indelebili nella storia dell'umanità. Chi sgancerà le bombe non li guarderà negli occhi e avrà la risposta pronta: la guerra serve ad abbattere un dittatore."
Dedicato a Giuliana.
Silvia Berruto
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